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50 E NON SENTIRLE! IL GIUBILEO DELL'MTC!

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Potevamo farci sfuggire un'occasione così ghiotta? l'MTC è giunto alla sua 50a sfida, nell'anno giubilare cattolico, e allora giubiliamo pure noi!!! Nel senso che formalizziamo il giubilo perché in realtà, non si fa altro, ogni mese, ad ogni sfida, è un continuo giubilo ed un crescendo di emozioni, gioie, euforia, idee, novità. Durante questo anno giubilare si annunciano infatti sorprese, premi e cotillons come si conviene nei festeggiamenti ma in puro stile emmeticino naturalmente!! 

L'Mtchallenge è un bellissimo gioco virtuale ma che si basa su attività materiali e reali, una sfida culinaria, in cui si cimentano ormai 160  food blogger e non food blogger (una più una meno a seconda delle sfide), che ebbe inizio nel 2010, siamo la community più longeva del web!
Mtè l'acronimo di Menu Turistico, il titolo del blog, creato da Alessandra Gennaro e Daniela Ferri,  che  ha generato la sfida, challenge, in inglese, perchè l'ispirazione è americana. Tutta la storia e la spiegazione dei regolamenti sul sito Mtchallenge  perché in seguito la gara si è perfezionata e ingrandita al punto da creare un sito apposito, oggi arricchito di rubriche di approfondimento e altre attività connesse.
 
Tutto ebbe inizio dall'uovo, ab ovo, come imponeva la tradizione romana, finito fritto in padella nella prima sfida appunto e da lì è partita la gara che si rinnova ogni mese, secondo un preciso  meccanismo  che vede uno sfidante lanciare un tema culinario o un piatto ben definito,  su cui gli "avversari" si cimentano, sfidando se stessi e le loro capacità, elaborando varianti e interpretazioni, scatenando fantasia e creatività. La proclamazione del vincitore, alla fine del mese, è l'innesto di una nuova sfida, con un nuovo piatto su cui cimentarsi, in uno scambio continuo di saperi condito da leggerezza ed allegria.
Non si vince null'altro che la soddisfazione di detenere il nuovo ruolo di sfidante. Per chi non lo ha mai provato, non si può capire cosa significhi. Il coinvolgente clima di spensieratezza, divertimento ma anche di sete di apprendimento, di scambio di opinioni e consigli sulle tecniche, il rispetto delle regole nonostante l'atteggiamento scanzonato,  rende questo gioco speciale, avvolto da un'aura di mistero indefinibile.
 
Io ho scoperto l'Mtchallenge nel gennaio 2011, con la sfida n. 6, gli involtini di verza, mi ero appena affacciata nel mondo della blogsfera e ne sono stata risucchiata vorticosamente, inutile dire che non ne sono più uscita. E' diventata una specie di droga, una malattia contagiosa. Si aspetta tutti quanti con ansia l'annuncio del vincitore, poi c'è l'attesa della nuova sfida, e poi si dà inizio alle danze senza mai smettere di cazzeggiare e divertirsi sui social, nel gruppo della nostra community, facendo per esempio il toto vincitore e poi il toto sfida. Ma c'è anche il gioco degli indizi, alla vigilia dell'annuncio della sfida, partoriti dalla perfida fantasia della madrina dell'Mtc, Alessandra Van Pelt Gennaro, praticamente impossibili da decifrare ma che scatenano l'ilarità generale, in primis dell'ideatrice,  per i tentativi fantasiosi e strampalati di interpretazione forniti da ognuno di noi.

E ancora le E-saltate, ovvero l'Mtchallenge delle vacanze, quando cioè a luglio e agosto il gioco si arresta ufficialmente ma c'è la versione estiva che consente di cimentarsi nelle sfide che si sono saltate.

Per non parlare dei premi fotografici 30 mm e gli ambitissimi premiiiiii scherzosi della Van Pelt!!!
 
Ho creato questo secondo blog per partecipare alle sfide in cui non potevo infilare i pesci di Poverimabelliebuoni. E ho vinto la mia unica sfida (per ora), la n. 14,  proprio con Insalata Mista, cimentandomi nei profiteroles che mai avrei pensato in vita mia di poter fare!!! E' proprio questa la magia dell'Mtchallenge che ti coinvolge così tanto che non puoi rinunciare semplicemente perchè "no, non sono capace" o "non mi va", devi provare, metterti alla prova, è una sfida prima di tutto con se stessi per recuperare un sapere, una manualità che andrebbero perdute.
 
Ci sono state sfide  che mi hanno messo in ginocchio.  La più dura di tutte, in assoluto: IL DANUBIO, che quando sono andata a Napoli e sono passata davanti alla famigerata (per me) pasticceria Scaturchio, ho avuto i brividi!!!
Anche il recente pan di spagna o i babà mi hanno  fatto penare non poco. Si capisce che la mia propensione non è proprio verso i dolci, soprattutto lievitati? Però con i baci di Annarita mi sono divertita un sacco e con la compagna Mariella, abbiamo battuto il record di produzione!!
La lista delle sfide che mi hanno entusiasmato invece è lunga, difficile scegliere: le raviole del plin, le polpette, i pici, le tagliatelle, le arancine, il quinto quarto, il pâté, le crêpes, la Caesar Salad, la piadina, la pasta al pomodoro, l'hamburger.... 

E come si può provare l'ebbrezza di vincere, ci si può anche macchiare  dell'onta del fuori concorso, come è successo a me con lo spezzatino perchè avevo letto sommariamente le regole e avevo sorvolato su alcuni particolari strettamente richiesti. Nell'Mtchallenge ci sono regole generali relative alle modalità di partecipazione e poi regole specifiche, fissate di volta in volta strettamente inerenti al tema della sfida. Le regole si rispettano e non si discute. Punto.


Non ultimo, le nostre sfide hanno entusiasmato un editore di Genova,  Sagep, con il quale sono stati pubblicati già tre volumi di quella che diventerà la Collana dell'Mtchallenge: L'Ora del Paté, Insalata da Tiffany e Dolci Regali. Sono felice di essere presente in tutti e tre i libri.
 
Che altro aggiungere? L'Mtchallenge logora chi non ce l'ha!! Gaudio e giubilo e lunga vita all'Mtc!
Grazie a chi l'ha inventato e grazie a tutti coloro che lo rendono così speciale con un gran lavoro redazionale! Un ringraziamento speciale a Mai Esteve per la grafica dei banner, doodle e compagnia bella, sempre originale, divertente e coerente con lo spirito emmeticino.
 
 



 

LA MARMELLATA DI COZZE????

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Scusate ma io continuo a chiamarla marmellata, confettura non mi piace!!! Lo so che le differenti denominazioni sono sancite addirittura a livello legislativo europeo ma l'origine del nome spiega perché siamo attaccati più al termine marmellata che confettura.
 
Dal sito Benessere:
Marmellata o confettura? Se nel linguaggio di tutti i giorni si tende a non fare distinzione fra i due termini, definendo genericamente "marmellata" qualsiasi composto a base di frutta e zucchero, in realtà la differenza c'è, ed è sancita addirittura da una direttiva dell'Unione Europea. È marmellata un prodotto a base di agrumi (limone, arancia, mandarino e, più raramente, cedro, pompelmo e bergamotto); si parla invece di confettura se si usa qualsiasi altro tipo di frutta (o addirittura, in alcune ricette, di verdura). La differenza la fa anche la percentuale di frutta usata per il preparato: deve essere almeno del 20 per cento per la marmellata, del 35 per cento per la confettura, del 45 per cento per la confettura extra.
Origine Il nome marmellata deriva dal portoghese "marmelo", ovvero mela cotogna.
Si sa dal ricettario romano attribuito ad Apicio, e risalente al IV-V secolo dopo Cristo, che già i Greci usavano bollire le mele cotogne (in greco melimelon, mela di miele) con il miele, per ottenere una conserva.
Altri documenti attestano l'esistenza delle marmellate nel Medioevo, e la stessa preparazione della frutta veniva utilizzata anche nel XVI secolo dai conquistatori spagnoli in America
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Comunque, disquisizioni filologiche e sofismi legislativi a parte, la marmellata di cozze esige un'ulteriore spiegazione. Tutto nasce da un equivoco causato da una clamorosa svista, rimasta da allora leggendaria. Qualche anno fa, di questi tempi, mentre preparavo, di primo mattino, la marmellata di prugne, quelle oblunghe scure, nella foto sopra,  che compaiono a fine estate e le aspetto in gloria, mio marito capita in cucina, mezzo assonnato e,  sbirciando il pentolone da cui spuntavano le mezze prugne, dalla polpa interna giallo arancio e il "guscio" scurissimo, le ha prese per cozze! Da allora la mia marmellata di prugne è stata ribattezzata marmellata di cozze!
 
 
Ingredienti e procedimento:

1,5 kg di polpa di prugne nere non trattate (denocciolate)
450 g di zucchero di canna chiaro
1 bustina di pectina di  mele*, dose per 1 kg di frutta (anche se sulla confezione viene indicato 1 busta per 1 kg di frutta, le prugne non sono acquose, è più che sufficiente anche per 1,5 kg)
la scorza di 1/2 limone piccolo non trattato tagliata a julienne + una spruzzata di succo
una spolverata di cannella
3-4 chiodi di garofano

* grazie alla pectina, gellificante naturale, la marmellata cuoce poco, lo zucchero non si caramella e il gusto della frutta rimane molto fresco e naturale

Come prima cosa, dopo aver lavato e mondato le prugne, private del nocciolo, peso la polpa ottenuta e preparo tutti gli altri ingredienti in proporzione (per quasi tutta la frutta uso circa 1/3 di zucchero, per le pesche che sono dolcissime anche un po' meno).  Le metto in una padella larga e dai bordi alti, aggiungo lo zucchero e faccio andare a fuoco dolce fino a quando si sarà sciolto e la polpa risulterà abbastanza tenera. Normalmente ci vogliono 10 '. Spengo la fiamma, distribuisco la pectina in superficie e frullo grossolanamente con un frullatore ad immersione, in modo da lasciare qualche tocchetto di prugna intero. Infine aggiungo le scorzette di limone e una spruzzata di succo, una spolverata di cannella (proprio un'idea, meno di un cucchiaino, la cannella esalta il gusto delle prugne ma, come sempre, va centellinata altrimenti copre tutti gli altri  sapori) e 3-4 chiodi di garofano schiacciati con la punta di un coltello in modo che le teste si sbriciolino un poco. Lascio andare a fuoco medio per altri 10-15' al massimo.
 
Prendo dei vasetti ben puliti, li sterilizzo in forno, inclusi i coperchi, a 180° C per 10 minuti e poi invaso la marmellata bollente. Faccio riposare, verifico che i coperchi (meglio se nuovi ogni volta) facciano il famoso "clack" sinonimo di vuoto e stop. Se non si crea il vuoto, riapro il vasetto, riscaldo il vasetto colmo di marmellata nel microonde per 1-2' alla massima potenza, cambio coperchio (precedentemente sterilizzato nel forno convenzionale, non a microonde) e ripeto l'operazione. Se non lo fa ancora, la metto in frigo per la colazione della mattina successiva, non ha problemi di conservazione, un vasetto di marmellata a casa nostra dura pochi giorni!!



 

I MIEI PRIMI CROISSANTS PER L'MTC N. 50, DOPPIO GIUBILO

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Il giorno 5 settembre alle h 9, abbiamo annunciato l'inizio dell'anno giubilare dell'Mtc col nostro solito stile scoppiettante e ludico, in una kermesse festaiola, gaia e giubilante appunto, all'unisono.
Il mattino successivo, alla stessa ora, all'annuncio della sfida n. 50 dell'Mtc, il giubilo veniva espresso da un 50% di entusiasti e un 50%  sotto choc, dubbiosi e perplessi, se non terrorizzati dalla sfida delle sfide: i croissants di pasta sfoglia!
 
Sfida lanciata da Luisa Jane Rusconi del blog Rise of the sourdough preacher, che solo il titolo del blog ti mette soggezione!!
Vista la mia scarsa propensione verso i dolci, soprattutto quelli lievitati ed elaborati, la mia prima reazione è stata: "non ci penso proprio" in perfetta coerenza con quanto predicato nel post del giubileo!!! ......E' proprio questa la magia dell'Mtchallenge che ti coinvolge così tanto che non puoi rinunciare semplicemente perchè "no, non sono capace" o "non mi va", devi provare, metterti alla prova, è una sfida prima di tutto con se stessi per recuperare un sapere, una manualità che andrebbero perdute......
Ma mi sono ripresa subito, pentita di aver solo pensato di non volerci pensare!! Mai fatto la pasta sfoglia in vita mia, ero sgomenta ma ho reagito e mi ci sono buttata a capofitto. Ho letto scrupolosamente tutte le istruzioni e le regole generali, stampato tutto, sottolineato i punti critici (tutti praticamente), programmato scaletta lavorazione, guardati i tre video consigliati da Luisa Jane, di cui preferisco l'ultimo e lo guardo e lo riguardo fino ad imparare a memoria le battute del simpatico patissier français Thierry Delabre.
Lancio anche un SOS facendo scherzosamente appello alle mie amiche pasticcere, una di fama internazionale, scusate se è poco: Loretta Fanella, l'altra, l'amica chef Deborah Corsi, specialista del pesce ma abile pasticcera e allieva della Fanella a sua volta. Entrambe si dichiarano pronte a suggerire e consigliare.
Fino alla metà del mese sono abbastanza libera, approfitto e decido di procedere subito. Primo ostacolo: il lievito, il filo diretto chiarisce le idee. Poi c'è la farina, questa storia delle W proprio non mi entra dentro. Loretta mi suggerisce di andare al supermercato Conad dove ha visto Molino Rossetto che va bene. Non trovo indicazioni circa la forza della farina sulla confezione ma la prendo lo stesso, se lo dice lei. Trovo pure il burro bavarese, il lievito disidratato, ho tutto, mi programmo e la mattina successiva parto!

 
Ingredienti e dosi come da post di Luisa Jane

Mercoledì 9 settembre, h 8.30:  impasto con il tablet di fronte e Thierry che mi istruisce. Pellicola frigo e si aspetta. Nel gruppo fb dell'Mtc iniziano ad apparire post di chi sta impastando, chi ce li ha in lievitazione, chi sta già infornando, e chi ha già tutto pronto. Una new entry aveva messo la foto delle sue meravigliose creature, subito a dirle di levarle prima che i castigamatti se ne accorgano ;-)
Messaggio in privato con Tamara, blog Un Pezzo della mia maremma,  che pare già a buon punto della lavorazione e le espongo le mie perplessità sull'impasto. L'avevo già tampinata ai tempi del pan di spagna spiegandole il pastrocchio che avevo combinato e lei mi aveva pazientemente salvato dalla catastrofe totale dandomi preziosi suggerimenti. E' velocissima nelle risposte, un filo direttissimo!!
Messaggiamo tutto il giorno, ci scambiamo, sempre rigorosamente in privato,  foto e impressioni di impasti, croissants crudi e cotti, ho visto in anteprima i  suoi capolavori ma non mi sono persa d'animo, seguo Thierry alla lettera e continuo determinata più che mai. Ci divertiamo un sacco. Che bello l'Mtc!

Verso le h 10.30 sbircio la pasta in frigorifero, si è gonfiata! come osa? le do una bella sbatacchiata per farle abbassare le arie e la rischiocco al fresco, anzi diminuisco la temperatura.

h 15.00 tolgo il panetto di burro dal frigo, lo metto in freezer, tutto come da procedura di Thierry, poi lo sistemo  tra due fogli di carta da forno e lo abbasso a colpi di mattarello, infine lo spiano e passo in frigo.
Tolgo la pasta, la stendo un poco, metto il panetto, chiudo, sigillo i lati come da video, calco il mattarello sulla pasta procedendo dal basso verso l'alto, sempre nello stesso senso, la spiano e la piego in 4. Pellicola, frigo.

15.30 Vado a farmi un bel bagnetto in mare, è una giornata di settembre spettacolare, mare piatto, vento di tramontana, aria tersa, acqua fresca, ritempra le membra affaticate. Irrinunciabile. Lo comunico su fb tanto per vivacizzare un po' la conversazione, sono tutte così troppo concentrate e tecniche ma raggiungo l'obbiettivo: mi mandano a...sfogliare!!

17.30 Rientro e riprendo la lavorazione, stendo e piego a 3. Pellicola. Frigo.

18.30 Stendo, taglio in due pezzi la sfoglia che mi viene lunga lunga, forse l'ho tirata troppo bassa, boh...le misure vanno a farsi benedire, non chiedetemi come ma ottengo ben 14 triangoli, altezza 22-23 ca e base variabile 7-8-9.  Con i ritagli arrotolo dei croissants mignons irregolari ma troppo bellini, me li pregusto già come salatini da aperitivo.
Triangoli in frigo coperti da pellicola per 20 minuti e infine arrotolo, il momento topico è arrivato!
Li spennello con uovo sbattuto con un goccio di latte, copro con la solita pellicola e lascio lievitare nel forno semi aperto con la luce accesa, quasi 3 ore.
Faccio lievitare i mignons solo un'ora, siamo impazienti, li cospargo di semi di sesamo, li cuocio e a freddo li farcisco con un'acciughina sott'olio, slurp!! Solo che arrivano per dessert non come aperitivo!!
 
Dopo  cena  i croissants più grandi sono belli gonfi, mi sembrano al punto giusto, li spennello nuovamente, scaldo il forno e via, ne cuocio solo 7, gli altri li metto in freezer e rimango appiccicata al vetro dello sportello a guardarli mentre si gonfiano e poi si dorano e mi inebrio di un profumo meraviglioso.
Mando subito le foto a Tamara tutta orgogliosa, mio marito che sonnecchiava sul divano, si sveglia al profumo che fuoriesce dalla cucina. Aspettiamo che raffreddino un pochino e poi ce ne assaggiamo subito uno quasi alle h 23!! Cotti proprio bene, crocchiano all'esterno e all'interno sono soffici, il burro si sente, naturale, ma non è invadente, sono sconvolta dal risultato, non ci posso credere e mi pregusto la colazione dell'indomani mattina.

 
 
Ovviamente la mattina, sono troppo eccitata, le foto dei miei primi croissants fanno il giro delle mie amicizie, fra cui: Deborah e  Loretta, mia sorella, che è brava coi dolci e Silvia Iacoponi, hai visto mai che le torna la voglia? Deborah, che mi conosce bene, si stupisce e Loretta commenta: "apperò! meglio di tanti pasticceri!", troppo buona ed educata ma che soddisfazione!
Ne riscaldo un paio (uno, l'unico, cosparso di semi di sesamo neri)  e ce li pappiamo farciti di marmellata di prugne, anzi....di cozze! fatta il giorno prima durante le pause della pasta in frigorifero, che piace tanto al marito e lo accontento. Ricetta e spiegazioni nel mio post precedente.
 
 
 
Lo so che sono stata la prima a sollevare la questione dei croissants salati ma quelli che vorrei proporre ai fini della sfida sono questi, un omaggio a Sicilia e Campania, che hanno meravigliose paste e dolci a base di ricotta, miele, canditi, pistacchio, ho fatto un mix tra cannoli siciliani (ancora per accontentare il marito ma insomma anch'io non li disdegno certo) e sfogliatella napoletana (rigorosamente riccia per il consorte, frolla per me):
 
CROISSANTS GLASSATI AL MIELE DI FIORI D'ARANCIO DI SICILIA E GRANELLA DI PISTACCHI DI BRONTE, FARCIA DI RICOTTA E LIMONE CANDITO 
 
 
Ingredienti in quantità secondo la propria golosità:
 
miele di fiori d'arancio di Sicilia
granella di pistacchi di Bronte
ricotta di pecora o mista freschissima
zucchero a velo vanigliato
cannella in polvere (facoltativa)
1 limone non trattato a buccia spessa (tipo Sorrento)
sciroppo di acqua e zucchero 2:1
 
 
Limone candito: lavare e asciugare il limone, tagliare a dadini di ca 6-7 mm la scorza, mantenendo un po' di bianco. Sbollentarli in acqua semplice tre volte, cambiando acqua ogni volta. Infine candire in uno sciroppo di acqua e zucchero, quando lo sciroppo inizia a schiumeggiare, toglierle e farle asciugare su un piatto rivestito di carta stagnola. Conservare in frigorifero.
 
 
Lavorare la ricotta a crema con lo zucchero a velo  a piacere, aggiungendo eventualmente un pizzico di cannella, se gradita, unire infine i canditi di limone. Tagliare a metà i croissants, farcirli con la crema di ricotta e canditi. Richiuderli, spennellarli con il miele, sciolto a bagno maria e infine cospargere con la granella di pistacchi.
 
 
Grazie a Luisa Jane per la ricetta e le istruzioni a prova di imbranati, grazie ad Alessadra per averle fatto cambiare idea sul pudding e aver invece proposto i croissants e GRAZIE MTC!!!! Senza questa sfida, non avrei mai affrontato la pasta sfoglia e non avrei mai provato una così bella soddisfazione. Piccole, grandi gioie della vita!!!
 
 
 
 
 
 
 

FARAONA RIPIENA AL VIN SANTO PER L'MTC N. 51

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Perché una si dovrebbe prendere la briga di disossare una faraona??? Ma per l'MTCHALLENGE, che altro?
Inutile dire che è stata la mia prima esperienza di disossamento di un qualsiasi animale commestibile. Sono più avvezza a sfilettare i pesci. Ma quante prime volte per l'Mtc? Pensavo di aver affrontato una sfida ardua con la pasta sfoglia per i croissants dello scorso mese, invece questa è stata ancora più impegnativa ma altrettanto soddisfacente a risultato finito seppur non impeccabile.
Grazie a Patty dunque di Andante con gusto, che ha lanciato la sfida sul pollo ripieno, oggetto dell'Mtchallenge n. 51. Ammessi anche altri volatili, conigli e lepri, adatti al disossamento e conseguente farcitura.

  
Ho dunque il piacere di partecipare all'Mtchallenge n. 51 con la mia Cleopatra, ovvero:
 
FARAONA RIPIENA AL VIN SANTO
con patate e carciofi arrosto e gravy al vin santo
 
 
Premessa: perché la faraona? Non che disdegni il pollastro, però volevo onorare la sfida e la sfidante  con qualcosa di sontuoso e la prima idea è stata di andare a scovare qualche ricetta rinascimentale con un pennuto nobile come un fagiano, una pernice o addirittura un germano (passi per il fagiano ma gli altri due dove li trovo???) dal  ripieno opulento e speziato e dalla presentazione sfarzosa com'era la cucina di quell'epoca storica in cui la Toscana poteva ostentare un primato fra le corti d'Europa con ben due regine di Francia provenienti dalla celebre dinastia de' Medici che sdoganarono oltr'alpe  piatti rimasti nella storia e di cui i cugini francesi si sono accaparrati la paternità (ma noi conosciamo le reali origini, tié!). Per non parlare delle scenografie dei banchetti rinascimentali per cui, sempre in Francia, veniva chiamato nientepopodimeno che il "nostro" Leonardo Da Vinci, noto gourmet ante litteram,  il quale progettava architetture ardite con giochi, musici e fuochi d'artificio.
 
Niente di tutto ciò. Dalle stelle alle stalle....beh non proprio dai..diciamo dalla reggia alla dimora domestica. Dall'opulenza rinascimentale all'arrosto casalingo della domenica. Quello della mamma che incominciava ad invadere la casa dalle prime ore del mattino e che quando si tornava dalla messa era pronto in tavola per la gioia di tutta la famiglia. Ma sì, alla Patty piace anche l'amarcord famigliare, un po' ruspante e più personale è meglio è.
 
Penso al cavallo di battaglia di mia mamma Carla, lo spinacino (o tasca) ripieno, quello era uno degli arrosti classici domenicali, servito rigorosamente con patate e carciofi arrosto  d'inverno e con insalata di fagiolini verdi  (o cornetti come li chiamano al nord) e patate lesse d'estate.   Lei è di origine emiliana, lo spinacino che faceva e che fa tutt'ora era quello di sua mamma, pure emiliana; la ricetta è variabile, la zia Valentina sostiene che ci voglia il prosciutto cotto, mia mamma dice di no ma intanto ce lo mette anche lei.
Non nascondo che lo spinacino sarebbe stato il mio  candidato  per un'eventuale sfida Mtc nel caso avessi mai rivinto con Insalata Mista. Quando ho visto il pollo ripieno, ho capito che lo spinacino sarebbe stato troppo facile. Bisogna prendere un pezzo di vitello e intagliare una tasca e farcirla, cucire i bordi e stop. Nessun disossamento, difficoltà minima.
 
Però sfrutto il ripieno dello spinacino e lo infilo in una carne delicata ed elegante come la faraona, annunciata nel nostro gruppo fb con un indizio elementare agli antipodi degli indizi vanpeltiani
 
 
E ora a noi mia bella Cleopatra!! Mi metto il tablet sul piano di lavoro, mi ritaglio una mattinata libera e seguo passo passo le indicazioni dell'impeccabile quanto esilarante post di  Patty
 
Ah, gli ingredienti prima:
 
1 faraona ruspante o d' allevamento a terra
 alimentata con mangimi no ogm da 1100-1200 g
olio evo, alloro, salvia, rosmarino, vin santo, inutile dire toscano
 e di buona qualità senza scomodare un occhio di pernice
 
Ripieno
100 g di prosciutto cotto al netto del grasso, senza polifosfati,
meglio ancora se proveniente da produttori artigiani di fiducia
2 cucchiai colmi di pane raffermo grattugiato
3 cucchiai colmi di parmigiano reggiano 30 mesi
1/4 di spicchio d'aglio rosa
1 uovo bio
2 amaretti di media grandezza o 1 grande
sale, pepe, noce moscata, prezzemolo
latte qb
 
Gravy
brodo di faraona 500 ml
1 bicchiere di vin santo (80-100 ml)
1 cucchiaio di fecola di patate
 
Brodo
carcassa della faraona
1l d'acqua, sedano, carota, cipolla, alloro
 
Contorno
patate a pasta bianca, carciofi morelli toscani
olio evo, alloro, rosmarino, sale, pepe
 
 
Ciolancasbilenca, ovvero: prendo Cleopatra, eviscerata e fiammeggiata col cannello per eliminare residui di piume (depilazione integrale completata anche con le pinzette) e procedo con la lussazione dell'anca.
 
 
Ora tocca alla forcella, via!
 
E ora si balla davvero! Nel frattempo purtroppo montava un bel temporale, ho dovuto accendere la luce e le foto sono gialle, ma non avevo tempo di pensare alla qualità delle foto, ero concentrata nell'operazione chirurgica sulla spina dorsale della malcapitata. (Non sono mancina, non avevo voglia di montare il cavalletto quindi scattavo con la destra mettendo semplicemente in posa la sinistra)
 
 
Prima di affondare il coltello, ho avuto un attimo di panico e molti dubbi. Temevo di aver aperto dalla parte sbagliata, invece riguardo il post, il petto è sul tagliere, devo incidere dalla parte della colonna, sto andando bene, insomma....ma come fa a staccarsi tutta sta roba??? mi chiedo. Niente panico, come faccio col pesce? basta andare dietro alla spina centrale, schiacciando bene il coltello contro la spina, stessa cosa per le costoline della mia faraona e tutto il resto, piano piano arrivo in fondo...piano piano....
 
 
Et voilà la cassa toracica, non chiedetemi perché è separata dallo sterno!
 
 
 Felice, ci sono quasi, poi guardo bene le immagini del post di Patty, c'era qualcosa che non mi convinceva, avevo semplicemente dimenticato le alucce e i femori!!!
 
 
Mi accorgo di avere reciso le ali troppo alla radice, poi mi manca la pelle per richiudere, si strapperà....uffa!! Però ritorna un po' di luce naturale.
 
 
 Vai col ripieno, trito e mixo tutti gli ingredienti, diluisco con un cucchiaio di latte e stendo un generoso strato sulla mia Cleopatra mutilata
 
 Ago e filo, si cuce! Figlia di sarta, che vergogna!!! Il pollice sinistro è infortunato dalla settimana scorsa, colpa del coltello del pane. Dal disossamento sono uscita illesa.
 
Povera Cleopatra, irriconoscibile, monca, cucita un po' di traverso e pure con la toppa sul culetto. Ho reciso totalmente il boccone del prete però per fortuna c'era pelle a sufficienza per fare una bella toppa che non ho immortalato purtroppo perché era proprio buffa!!
 
 
Beh in qualche modo ci sono, caramella, alluminio e poi in frigorifero per tutto il pomeriggio
 


Cottura in casseruola, quella ovale antiaderente per pesce o arrosti. Cospargo la faraona con un po' di sale, la rosolo bene da entrambi i lati in due cucchiai d'olio evo, alloro, salvia e rosmarino, sfumo con un bicchiere di vin santo, faccio andare a fuoco dolce e col coperchio, allungando di tanto in tanto col brodo preparato con la carcassa e gli ossi della faraona. Cuoce in un'ora circa. E' bruttina ma poi rimedio con il contorno
 
Per il gravy: filtro il fondo di cottura e raccolgo il liquido in una tazza. Deglasso il fondo rimasto in padella con il vin santo, faccio evaporare e poi aggiungo il brodo, faccio restringere della metà. A freddo miscelo la fecola di patate con il liquido messo da parte, lo verso in un padellino e poi diluisco con il ristretto di fondo/vin santo/brodo, faccio addensare a fuoco dolce fino a che ottengo una salsa vellutata.
 
Preparo le verdure e le patate col mio personale sistema "finto arrosto" o meglio, arrosto velocizzato. Cioè cuocio al dente le verdure e le patate separatamente nel microonde. Le patate a seconda della loro consistenza e dello spessore, 4-5 ' a potenza massima. I carciofi 3-4'.
Poi le rosolo, facendole saltare insieme in padella antiaderente (che mi permette di usare poco olio) con un filo d'olio evo, alloro e rosmarino. Basteranno 5-6 ' per avere una bella doratura e completare la cottura. Salo all'ultimo.
 
 
Scaldo la faraona nella sua padella con un paio di cucchiai di brodo. Tolgo il filo, taglio qualche fetta e poi compongo il piatto, contornandola con le verdure e nappando le fette con il gravy (e salivando copiosamente pregustando l'assaggio!!!)
 
 
Un bel bicchiere di vino (anche due) non può che completare l'opera! La regola vuole che si usi lo stesso vino per cucinare e poi per accompagnare il piatto però non si può pasteggiare a vin santo. Sulle carni bianche sono indicati i vini bianchi magari un po' corposi ed eleganti. Dipende sempre come le carni o qualsiasi altro piatto viene cucinato. In questo caso abbiamo un ripieno saporito, patate e carciofi arrosto quindi con note tostate, il gravy che conferisce grassezza e succulenza, non ci vedrei male  uno spumante, champagne tanto meglio, brut tradition, cioè con pinot noir, pinot meunier e chardonnay, magari con la base di chardonnay invecchiato in barrique, che normalmente non amo ma per Cleopatra andrebbe bene perché con quel retro gusto di distillato richiama la nota di frutta appassita del vin santo.
Anche un rosso fruttato e dalla vivace acidità come un bel Chianti Classico giovane, meglio se sangiovese 100%,  può andare bene.
Io, infatti, ho stappato un Chianti in mancanza dello champagne e non ho sbagliato!
 
 
 
 
 

ZAMPONE E LENTICCHIE THAI PER LA BONISSIMA, MODENA

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Ho appreso solo ieri sera tardi e casualmente del contest indetto per la manifestazione La Bonissima di Modena. Mia mamma è emiliana, di Noceto, qualche piatto lo conosco ma non sono certo esperta, quindi stamattina presto approfondisco sui miei libri e cerco on line. Non ho molto tempo, la scadenza è domenica 18 ottobre, dovevo preparare il mio piatto oggi perché nel weekend non ci sarò, anzi forse vado proprio a Modena, a godermi La Bonissima, un festival del gusto e dei prodotti tipici modenesi che porta il nome della leggendaria statua della Bonissima.
cit. dal sito della manifestazione : La statua di donna chiamata la “Bonissima“, ora situata all’angolo del Palazzo Comunale con via Castellaro, era collocata nel XII secolo nella piazza del Comune.
La statua, eretta nella seconda metà del Duecento, è piccolina ma tanto famosa da dar luogo al detto “conosciuto come la Buonissima” per indicare una persona di grande notorietà.
Non si sa chi fosse in realtà la donna rappresentata. Alcuni cultori di tradizioni popolari pensano a una nobile dama che in un periodo di carestia aveva sfamato il popolo chiedendo aiuto anche agli altri notabili della città; cessata la carestia avrebbe festeggiato con tutta la popolazione nel suo palazzo, cacciando solo quanti non l’avevano aiutata nell’opera buona.
 
Ho scelto un super classico, cioè lo zampone con le lenticchie. Lo zampone lo lascio al naturale, decido di "corrompere" le lenticchie,  come richiesto dal  tema del concorso,  IL PIATTO CORROTTO, ovvero inserire un elemento insolito che scardina il gusto conosciuto di un piatto tradizionale modenese, proiettandolo su nuove sensazioni e altri livelli di armonia sensoriale.
Mi ispiro alla zuppa di lenticchie rosse thailandese che prevede zenzero, lime e cocco nonché peperoncino. Elimino il cocco, non mi convince con lo zampone però lime, zenzero e peperoncino sì, con la loro piacevole freschezza, pungenza  ed aromaticità sgrassano e profumano il piatto. Per creare un contrasto di colore con il rosa dello zampone, preferisco usare le lenticchie nere beluga e poi aggiungo un ulteriore tocco di freschezza ed aromaticità guarnendo il piatto con foglioline di coriandolo. La nota piccante del peperoncino da dosare secondo il proprio gusto.
Cucinato, fotografato e mangiato a pranzo. Mi ha convinto, lo pubblico!
 
 
Ingredienti per 2 persone
 
200 g di lenticchie Beluga
trito di sedano, carote, cipolla dorata o scalogno
1 foglia di alloro
radice di zenzero fresco qb
1 lime
sale, peperoncino jalapeño in polvere
olio evo
2-3 fette di zampone  cotto spesse 1 cm
coriandolo fresco in foglie
 
 
 
Rosolare il trito di verdure con la foglia d'alloro spezzata e un cucchiaio d'olio evo. Aggiungere le lenticchie, bagnare con brodo di verdure caldo o anche semplicemente acqua calda e portare a cottura lasciandole un po' brodose. Negli ultimi 5 minuti aggiungere zenzero macinato fresco a piacere, una spruzzata di succo di lime (almeno mezzo lime). Regolare infine di sale.
Togliere la cotenna allo zampone, tagliarlo a quadrotti o cubetti, scaldarlo nella zuppa di lenticchie. Servire nei singoli piatti o scodelle,  condire con olio extravergine d'oliva a crudo e  un pizzico di peperoncino in polvere. Guarnire con foglioline di coriandolo fresco.
 
 
 
 
 
 
 
 

PASTA FAGIOLI & COTICHE CON BOTTARGA DI MUGGINE PER LA BONISSIMA, MODENA

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La mia seconda proposta per il contest IL PIATTO CORROTTO, indetto dall'organizzazione della manifestazione modenese LA BONISSIMA, un festival del gusto e dei prodotti tipici modenesi che animerà il centro storico della splendida città emiliana durante questo weekend.
 
Le spiegazioni dei parametri del contest nel mio precedente post con la prima proposta ZAMPONE E LENTICCHIE THAI.
Vado dritta alla ricetta che è una personale versione della pasta e fagioli, ispirata ad un piatto di uno chef  di mia conoscenza, Angelo Torcigliani del ristorante Il Merlo di Camaiore, Lu,  un po' scomposta ma con l'aggiunta delle cotiche secondo la tradizione modenese e l'ingrediente corrotto, la bottarga che con la sua sapidità marina contrasta  la voluttuosa dolcezza dell'insieme del piatto.
 
Ingredienti per 2 persone
 
300 g di fagioli borlotti freschi (o 150-180 secchi previo ammollo)
aglio, cipolla, sedano, carota, alloro, erba salvia
2-3 cucchiai di passata di pomodoro
2-3 pezzi di cotenna di maiale
80 g di pasta tipo mischiato gentile di Gragnano
bottarga di muggine 
sale, pepe nero qb
olio extra vergine d'oliva qb 
 
Rosolare in un cucchiaio d'olio evo il trito di odori, unire i fagioli, coprire con brodo di verdure o semplicemente acqua calda, un paio di cucchiai di passata di pomodoro e cuocere fino a che saranno teneri  allungando col brodo di tanto in tanto.
Cuocere anche le cotenne e tagliarle a quadrotti.
Togliere l'alloro e la salvia, una manciata di fagioli interi e due cucchiai di liquido di cottura. Frullare tutto il resto a crema, regolare di sale. Nel frattempo lessare la pasta. Per la versione coreograficamente più curata come nelle foto: scolare la pasta e  condirla con il liquido di cottura dei fagioli.
Mettere in una fondina un mestolo di crema di fagioli, disporre un mucchietto di pasta al centro, alcuni fagioli interi e i quadrotti di cotenna intorno, cospargere con scagliette di bottarga, completare con un giro d'olio evo dal gusto intenso, con buona piccantezza e una macinata di pepe nero. Guarnire con una fogliolina di erba salvia.
 
Per una versione più casereccia, cuocere al dente la pasta, finirne la cottura della crema di fagioli, eventualmente diluita con altro brodo, aggiungere quelli interi e poi completare come sopra.
 
 
 
 
 
 
 

LA PECORA NERVOSA (E ANCHE UN PO' UBRIACA) MAI DIRE MAI, IL CONTEST DEL CONSORZIO PECORINO TOSCANO DOP

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MAI DIRE MAI  è lo stimolante contest indetto dal Consorzio Pecorino Toscano Dop in collaborazione con Aifb, l'Associazione Italiana Food Blogger di cui faccio parte, scaturito in seguito al tour maremmano  dello scorso settembre offerto ad un gruppo di food blogger Aifb per scoprire e comprendere la produzione del Pecorino Toscano Dop.
 
24 food blogger si sfidano a coppie su 12 abbinamenti, alcuni arditi, alcuni, a mio avviso più abbordabili ma mai banali, in modo particolare se bisogna far risaltare il pecorino protagonista e non relegarlo a complemento del piatto.
Gli abbinamenti sono stati estratti e a me è toccato il caffè! Sfida difficile pertanto stimolante!
 
Il pecorino è sicuramente il mio formaggio preferito, soprattutto da quando mi sono trasferita in Toscana dalla natia Lombardia ben ventisei anni fa. In casa nostra non manca mai, sempre in un paio di stagionature, più giovane e più maturo,  talvolta o sotto paglia o vinacce o foglie di noce, raramente aromatizzato. Il pecorino è uno dei protagonisti della mia toscanizzazione come il pane sciocco, per lui ho tradito le mie radici padane dove regnano i formaggi vaccini e come recita un famoso detto: "la bocca l'è no stracca se non che la sa de vacca"!

Il caffè in piatti salati  non è più una sorpresa da diversi anni ormai  ma col pecorino penso di non averlo mai visto né tanto meno assaggiato. Il caffè, con il suo aroma intenso e la sua freschezza esalta e completa molte preparazioni. Dal celebre risotto bianco capperi e caffè delle Calandre dei fratelli Alajmo all'altrettanto noto croccantino di foie gras con gel di caffé di Bottura, molti chef si sono cimentati col caffè in cucina, in panature e salse sia per carni che per pesci, nonché cotture al vapore con chicchi di caffè.
Io stessa l’ho sperimentato e documentato sul mio blog Poverimabelliebuoni in un paio di ricette quali Cefalo al caffè e riduzione di vino rosso o la Brandade d’acciughe, capperi e caffè.
Fra i miei libri di cucina ne ho uno proprio ad hoc: CAFFE' IN CUCINA, del 2007 con prefazione di Ferran Adrià e ricette stupende di molti chef noti.
Ma non c'è la voce che cerco io, cioè  PECORINO E CAFFE', anche se si trovano tanti spunti interessanti  per gli altri ingredienti del challenge che non mi sono toccati!!
 
Volevo onorare il contest con qualcosa di speciale, non mi accontento di infilare il caffè in tagliatelle o pappardelle, né nei ravioli, anche se non si disdegnano affatto, quando sono fatti bene.
Insomma, fino a quando non ho ricevuto i campioni di pecorino, ho brancolato nel buio.
 
 
Appena arrivati, come prima cosa li ho assaggiati, ci ho bevuto un espresso, un pezzetto di quello più giovane l'ho rotolato nella polvere di caffè. Non contenta ho addentato un pezzo più stagionato sgranocchiandoci insieme un chicco. Capisco che si può fare, la morbidezza del gusto del cacio giovane viene contrastata in modo singolare e piacevole dall’amaricante freschezza del caffè che sottolinea a sua volta la delicata sapidità e aromaticità di quello più stagionato. Butto giù delle idee ma sono ancora lontana da quella che mi soddisfi. 
 
Poi vedo comparire  le prime proposte di abbinamenti col pecorino da parte dei food blogger in gara. Commentando con Andrea, uno dei partecipanti (che ha presentato una gran proposta con i gamberi) e confidandoci i reciproci dubbi, ci scambiamo idee, dal momento che i nostri ingredienti sono molto lontani fra loro, addirittura lui è pronto con due opzioni e me le mostra. Una di queste l'avrei fatta pure io se avessi avuto un altro ingrediente. E una delle sue due composizioni, quella che poi avrebbe proposto,  mi folgora, è un piatto complesso, ben costruito, che contempla anche più tecniche, consistenze, temperature. Semplicemente bello e tecnico. Mi dà il la per capire che quella è la strada da intraprendere, complessità e tecnica, eleganza ed equilibrio quando stagnavo su soluzioni troppo semplici, ecco perché non ne ero soddisfatta.
 
Riprendo in considerazione il mio libro sul caffè in cucina e rielaboro una preparazione di Antonino Canavacciuolo che mi piace molto: bavarese di burrata con granita di caffè e sciroppo di zafferano. Dalla burrata al pecorino c'è un bel salto  ma io ho in mente un dessert che gioca fra il dolce e il salato, un dolce non dolce, l'idea contemporanea del dessert. Il pecorino è già di per sé un meraviglioso dessert, irrinunciabile fine pasto magari per finire una bottiglia di Brunello.
Al posto della granita preferisco  un crumble al caffè o un biscotto, cioè qualcosa di croccante ma friabile. Scarto lo zafferano per un'eventuale salsa, voglio giocare col caffè in diverse soluzioni e usare entrambi i pecorini e non mischiare troppi sapori protagonisti.  Mumble...mumble...prendo nota sul mio taccuino...ci giro intorno per qualche giorno, anche perché ho del lavoro da sbrigare e non ho ancora tempo per dedicarmi alla preparazione del piatto.
 
Piano piano arrivo alla formula definitiva: deciso per la bavarese e il sablé, era necessario abbinare una salsa  e poi completare  con piccole guarnizioni che armonizzassero con i gusti primari: per la salsa opto per il ponce livornese, un robusto caffè espresso "corretto" con rhum e mastice (liquore all'anice) servito con la "vela" cioè una scorzetta di limone, che trasformo in limone candito;  il miele, che va a nozze con il pecorino, lo uso per glassare i chicchi del caffè hawaiano, delicatamente affumicato,  che clienti americani mi hanno appena regalato;  anche le noci stanno bene col pecorino, ci faccio un croccante, infine quello più stagionato lo congelo e lo grattugio ed ecco la neve! Ci sono, mi ritaglio una mattinata libera e mi dedico al mio o alla mia bavarese (si dovrebbe dire al maschile "il" bavarese ma è più diffuso al femminile anche se non è corretto).
 
Ho deciso di chiamare il mio dolce non dolce: LA PECORA NERVOSA ( E ANCHE UN PO' UBRIACA) in onore dello spiritoso commento di  Sara quando le avevo esternato le mie idee su pecorino e caffè; in seguito ho aggiunto la nota alcolica e il resto del titolo è venuto da sè:
 
LA PECORA NERVOSA (E ANCHE UN PO' UBRIACA)
 
 
Bavarese al pecorino giovane su sablé al caffè, salsa al ponce livornese, limone candito, chicchi di caffè glassati al miele d'acacia, croccante di noci e neve di pecorino stagionato
 
 
Ingredienti per 6 pezzi - stampini a parallelepipedo cm 2,5x2,5x7
 
Bavarese
120 g di pecorino dop toscano giovane (privato della crosta)
2 g di colla di pesce
60 g di panna fresca liquida
80 g di panna montata
 
Sablé al caffè qualità arabica brasiliana
100 g di farina 00
50 g di burro
15 g di tuorlo d'uovo
30 g di zucchero di canna chiaro
2 cucchiai rasi di caffè macinato qualità arabica brasiliana (varietà dal gusto molto fresco)
un pizzichino di sale fino
 
Croccante alle noci di Sorrento
30 g di noci di Sorrento
60 g di zucchero di canna chiaro
5 g di burro
1 cucchiaio d'acqua
un pizzico di sale fino
 
Salsa al ponce livornese
100 ml di caffè espresso miscela forte
2 cucchiaini di zucchero di canna
50 ml di rhum scuro e 10 ml di mastice o liquore all'anice
2 scorzette di limone non trattato
0,5 g di polvere di gomma xantano
 
Limone candito
1 limone non trattato
acqua e zucchero di canna qb
 
Chicchi di caffè glassati al miele
una manciata di chicchi di caffè a piacere
 miele di acacia qb
 
Neve di pecorino
1 fetta spessa di pecorino dopo toscano stagionato
 
Come prima cosa prepariamo i canditi. Leviamo la scorza al limone mantenendo una piccola parte del bianco, tagliamo la scorza a dadini di 6-7 mm, sbollentiamoli per tre volte in acqua e ogni volta cambiamo l'acqua. Scoliamo, infine mettiamo i dadini a candire in uno sciroppo di zucchero e acqua 2:1 fino a che lo sciroppo inizia a schiumeggiare, senza caramellare. Togliamo i dadini ad uno ad uno con una pinza e poniamoli su un foglio di alluminio a raffreddare. Si conservano in frigo così rimangono morbidi.
 
Occupiamoci ora della (o del) bavarese. Tritiamo al mixer il pecorino. Portiamo ad ebollizione la panna liquida e, fuori dal fuoco, incorporiamo la colla di pesce, precedentemente ammollata in acqua fredda e strizzata. Aggiungiamo il composto al pecorino tritato e frulliamo tutto insieme. Infine, amalgamiamo delicatamente anche la panna montata e versiamo il composto negli stampini in silicone rettangolari livellando bene la superficie. Poniamoli in frigorifero a rassodare per qualche ora.
 
E vai col sablé! Mescoliamo la farina col caffè in polvere, lo zucchero e un pizzico di sale fino. Lavoriamola sulla spianatoia con la punta delle dita insieme al burro e al tuorlo. Otterremo un composto un po' grezzo. Formiamo una palla, copriamola di pellicola e poniamo in frigorifero per mezz'ora ca. Dopo il riposo in frigorifero, stendiamo la pasta al mattarello e ritagliamo dei rettangoli della stemma misura degli stampini. Cuociamoli in forno pre-riscaldato a 180-200° C per 10-12 minuti max. Se, togliendoli dal forno, non sembrano cotti, seccheranno al contatto con l'aria, non devono cuocere molto, devono rimanere sbriciolosi altrimenti non si chiamerebbero sablé, cioè sabbiosi!
 
Il croccante alle noci. Tritiamo le noci in parte grossolanamente, in parte più finemente. Mettiamole  in una padellina con lo zucchero, il burro, l'acqua e il pizzico di sale. Cuociamo fino a che il composto inizia a caramellare e imbiondire. Stendiamolo  ben caldo, con una spatola,  su un foglio di silpat, in uno strato sottile e lasciamolo raffreddare e rapprendere.
 
La salsa al ponce livornese: mettiamo i due alcolici con lo zucchero in una tazza, scaldiamoli con il cannello a vapore della macchina del caffè, aggiungiamo il caffè espresso (2-3 tazzine ca), completiamo con le scorze di limone e facciamo raffreddare.
Stemperiamo la polvere di xantano con un poco di ponce freddo, da cui avremo tolto le scorze di limone,  e poi piano piano, senza fare grumi, aggiungiamo tutto il resto, mescolando bene. Rapprenderà velocemente. Il vantaggio dello xantano è che addensa da freddo e conferisce alle salse una consistenza cremosa rispetto ad altri addensanti più gelificanti come l'agar agar, che agisce a caldo.
 
Chicchi di caffè glassati: tuffare semplicemente i chicchi di caffè, a piacere, nel miele d'acacia, toglierli con una pinza e decorare il piatto. I miei chicchi sono di caffè hawaiano, dal gusto morbido ma piacevolmente affumicato.
 
Neve di pecorino: poniamo in freezer per qualche ora la fetta di pecorino avvolta in una pellicola e al momento di servire il piatto, passiamolo alla grattugia dai fori grossi per formare la neve.
 
Componiamo il piatto!
Togliamo la bavarese dal frigorifero, sformiamola con cura e posizioniamola su un sablé.  Lasciamola riposare 10 minuti per non consumarla troppo fredda. Mettiamola al centro di un piatto, appoggiamo due pezzetti di croccante direttamente sulla bavarese, contorniamola con dischi di salsa al ponce un poco riscaldata, dadini di limone candito, neve di pecorino e i chicchi glassati. (anche un'ultima spolverata di caffè non ci starebbe affatto male, ora che ci penso.....)
 
Come si mangia? Consiglio di prendere col cucchiaio un pezzo di bavarese insieme al suo biscotto e gustarla intingendola nella salsa al ponce, mangiandoci insieme anche un candito di limone. In seguito,  gustare la neve di pecorino sgranocchiando il chicco di caffè e poi si ricomincia, anche in ordine sparso, secondo il proprio gusto!!
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

INTERVISTA AD ALESSANDRO BIANCO PER DOLCEMENTE PISA 14-15 NOVEMBRE

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Il pasticcere Alessandro Bianco sarà fra i protagonisti della manifestazione  DOLCEMENTE che si terrà alla Stazione Leopolda di Pisa nei giorni 14 e 15 novembre.  L'Associazione Italiana Food Blogger  ha collaborato con l'organizzazione della bella manifestazione dedicata alla produzione dolciaria tradizionale italiana, giunta quest'anno alla sua decima edizione e celebrata con un tema ad hoc, cioè IN VINO VERITAS!  In sintonia con il tema e insieme alla celebre pastry chef internazionale Loretta Fanella,  fiore all'occhiello della manifestazione, è stato ideato un contest per i soci Aifb, denominato  DOLCI DIVINI, dove  vini, liquori o distillati sono protagonisti di dolci creazioni.

 
Ho avuto il piacere di conoscere personalmente  Alessandro  poco prima di una  recente manifestazione che ha visto sfilare cinque comuni della Costa degli Etruschi ai Chiostri dell’Umanitaria a Milano per un evento FUORI EXPO, fra cui Cecina, dove Alessandro risiede ed opera nel suo bar pasticceria La Dolce Vita 
 
Conoscevo e frequentavo da tempo la sua rinomata pasticceria ma non avevo mai avuto occasione di incontrare l’artefice delle molteplici delizie tentatrici che inondano le vetrine e il banco del bar.
L’occasione mi è stata fornita proprio dalla necessità di concordare la presentazione del cooking show di Alessandro alla manifestazione milanese.


 
E’ stato feeling a prima vista! Del resto, fra entusiasti ci si riconosce subito.  E Alessandro, in quanto ad entusiasmo mi fa concorrenza.  Giovane, appassionato, competente, brillante, comunicativo e coinvolgente,  i suoi occhi brillano di felicità mentre ti spiega la cura con cui segue i suoi amatissimi lievitati o le tecniche  e le regole scientifiche per trovare la giusta fusione di olio extravergine d’oliva e cioccolato per la ganache di una sua pralina da dipendenza. 
L’ho tempesto di domande in modo da prepararmi a fondo per il mio ruolo di presentatrice-moderatrice e lui ha risposto  con grande generosità di informazioni e dettagli,  grazie ai  quali si definisce il suo quadro professionale e personale.
Ho riordinato  gli appunti ed ho ottenuto una bella intervista!


Alessandro nel suo laboratorio mentre rinfresca il suo adorato lievito madre, avuto dal suo maestro Morandin, che a sua volta l'aveva ricevuto dal primo panettiere Motta, agli inizi del '900!! Un lievito unico che ha, oltre ad una storia, un valore aggiunto, è stato analizzato dall'Università di Pavia che ha rilevato dei batteri che non esistono più in natura!
 
Alessandro, sei cresciuto in mezzo a farine, lieviti, creme e cioccolati ma quando hai deciso veramente di fare il pasticcere?

La nostra pasticceria è a conduzione familiare e quindi è giusto dire che sono cresciuto in laboratorio, ogni estate finita la scuola iniziavo ad impastare. Poi ho proseguito gli studi fino alla laurea e ho iniziato a lavorare nel settore di studio, dopo circa due anni passati tra Italia ed estero ho sentito la necessità di tornare alla mia bellissima costa e alla pasticceria, quindi adesso sono cinque anni che vivo in simbiosi con il mio laboratorio di pasticceria. 

Quali sono stati i tuoi maestri  e come hanno influito sul tuo operare?

In pasticceria si impara sempre, dai maestri e dagli allievi, però devo sicuramente ringraziare alcuni professionisti che mi hanno trasmesso la voglia di ricercare sempre prodotti nuovi e migliori. Per i semifreddi e la pasticceria mignon ho lavorato con Serge Billet (inventore dell'aerografia in pasticceria) e Diego Crosara, per la pralineria devo ringraziare Eliseo Tonti e Mickael Azouz; Rolando Morandin mi ha trasmesso l'amore per il lievito e con lui ho preparato i panettoni, le canditure e le brioche da prima colazione, anche se il mio maestro per eccellenza è mio papà che ogni giorno in laboratorio mette a disposizione i suoi quarantacinque anni di esperienza sul lavoro!

Parte della formazione è arrivata anche viaggiando, conoscere le persone giusto mi ha permesso di entrare in quelli che sono considerati i laboratori delle pasticcerie più importanti di Italia ed Europa, il mio primo anno di lavoro l'ho passato quasi tutto viaggiando e lavorando accanto ai migliori pasticceri. Infine l'ultimo tassello della mia formazione arriva proprio dall'università, laureato in scienze e tecnologie delle produzioni animali ho appreso la biochimica che mi ha aiutato a capire come le materie che utilizzo interagiscono chimicamente fra loro, oltre a questo ho potuto analizzare bene la filiera latte e la produzione di cereali. 
 

Nella tua produzione c’è sempre un forte richiamo al territorio con una rilettura in chiave moderna, come lo rivoluzioni?

Sono tornato a casa cinque anni fa proprio per amore della mia terra, sono convinto di vivere in una delle zone più belle d'Italia e devo a questa terra tanto successo ottenuto con il mio lavoro, per questo cerco sempre intorno a me le materie prime, cerco le eccellenze e i produttori artigianali, persone con le quali impostare un lavoro in sinergia per realizzare prodotti unici che rispecchiano la qualità delle lavorazioni e la passione delle persone che li producono. Nessuna rivoluzione, mi diverto solo a re-interpretare in chiave contemporanea alcuni  grandi classici della pasticceria usando i prodotti più vicini a noi, sperimentando e studiando continuamente.


Appunto, studi e sperimenti in continuazione, hai qualche sorpresina in serbo per i tuoi estimatori?

Quest'anno con il panettone vedremo grandi novità in quanto abbiamo candito i pomodori e quindi i nostri clienti assaggeranno il panettone con le verdure candite, abbiamo poi candito le fragole, esperimento riuscito dopo anni di fallimenti, e credo che questo panettone andrà a ruba. La grande novità di quest'anno è la prima produzione di frutta e verdura proveniente dalla nostra azienda agricola, per rifornire il laboratorio di pasticceria con prodotti di qualità e freschissimi abbiamo iniziato un progetto tre anni fa con l'acquisto di alcuni terreni e l'inizio dell'attività agricola, il risultato ottenuto quest'anno è sorprendente e il prossimo anno amplieremo la produzione con altre quaranta  piante da frutto che abbiamo messo a dimora durante  questo mese di ottobre. Inoltre, ogni anno proponiamo due semifreddi nuovi a seconda della stagione, uno per la primavera-estate e uno per autunno-inverno, quest'ultimo è in fase di perfezionamento, siamo alle prove finali e posso anticipare che vedrà l'abbinamento di cioccolato arancia e nocciola.

Il tuo grande amore, oltre che tua moglie e tuo figlio, sono i lievitati vero?

I lievitati sono la mia passione, adoro gestire il lievito madre in acqua e nel sacco, il fatto di lavorare con materia viva, che si alimenta e produce accanto a me, mi riempie di gioia,è un vero alleato nelle produzioni quotidiane anche se la cura del lievito madre richiede tempo, pazienza e dedizione: fare un impasto a lievitazione naturale raddoppia o triplica i tempi di lavorazione rispetto all'utilizzo del lievito di birra, quindi nel periodo di massima produzione dei panettoni vivo in laboratorio, dove spesso passo anche la notte per seguire meglio le fasi della lievitazione, è tutto bellissimo e non sento la fatica per questo lavoro ma il tempo che toglie alla mia famiglia è tanto, ho un bambino piccolo e una moglie speciale, vi assicuro che ci vuole tanta passione per passare le giornate con il lievito anziché con la famiglia.


Sfatiamo qualche mito, riveliamo qualche trucchetto per gli appassionati che sperimentano nelle loro cucine domestiche

La pasticceria è scienza e spesso a casa non si riesce ad ottenere certi risultati per la mancanza di attrezzatura e materie prime che difficilmente si trovano al supermercato, ma spesso le cose appaiano più difficili di quanto possano sembrare. Per fare un buon lavoro, innanzitutto,  è necessario semplificare e schematizzare. Un esempio è nell'utilizzo del cioccolato, si parla spesso di temperaggio, che consiste nello sciogliere la cioccolata ad alte temperature (45°C) e poi raffreddarlo velocemente fino a 30°C per poterlo utilizzare, questa procedura è lunga e complessa, in realtà se si utilizza un buon cioccolato bastano 90 secondi in microonde per avere un cioccolato fuso che non ha superato i 45°C e quindi non necessita di temperaggio, è già pronto e perfetto da usare.

Hai qualche aneddoto curioso o spiritoso da raccontare in merito alla tua attività?

Ce ne sono tanti, da scrivere un libro, questa estate abbiamo consegnato due torte da 200 persone ciascuna per due ragazze che festeggiavano il diciottesimo compleanno al castello di Populonia, sapendo cha la porta del castello è larga 60 centimetri abbiamo  portato le torte completamente smontate e le abbiamo assemblate un pezzo per volta, circa due ore di montaggio....Altra vicenda curiosa,  pochi mesi fa,  un cliente ci ha portato un antichissimo libro di ricette e ci ha chiesto di realizzare una torta medievale:  l'elmo caterina, il progenitore dello zuccotto, nella sua ricetta originale; reperire le materie prime ed adattare la ricetta non è stato semplice ma la torta è venuta buonissima e ci ha regalato grandi emozioni.

Ringraziandoti per  la tua disponibilità, non possiamo  che concludere in dolcezza, cioè con una bella ricetta per i nostri soci Aifb e tutti i nostri lettori.  Cosa ci proponi?

Il mese scorso ho creato un pasticcino mignon ispirato alla tarte tatin, storica e nota torta francese alle mele. Il periodo è perfetto perché le mele sono state raccolte da poco, quindi vi regalo una ricetta della tarte tatin molto particolare  che ho appreso da uno storico panificio artigianale di  Lione quattro anni fa: 

Sfoglia croccante*:

500 g  di burro
500 g  di farina 00
 200 g d’ acqua
 10 g di  sale 

impastare il burro con  150 grammi di farina, formare un panetto e mettere in frigo  a riposare per un’ora,  poi impastare i restanti 350 grammi di farina con sale e acqua, stendere questo impasto e incassare il panetto di farina e burro, ripiegarlo in 4 parti e ripetere l’operazione 4 volte,  intervallando trenta minuti di riposo in frigorifero tra una piega e l'altra.  Infine tirare la sfoglia e cuocere in forno a 200°C fino a colorazione.

*gli ingredienti per la sfoglia sono abbondanti ma è sempre bene prepararne in misura maggiore per prevenire ogni inconveniente o scarto che può essere recuperato per altre preparazioni.


Composto di mele:
1000 g di mele
80 g di zucchero
40 g di burro
succo di limone qb 
gelatina di albicocca qb

pelare le mele, tagliarle a quarti e passarle nel succo di limone, cospargere con lo zucchero e con il burro a piccoli pezzi uno stampo antiaderente per pan di spagna da cm 25, disporre le mele fino all'altezza dello stampo e cuocere a 140°C per due ore; all'uscita dal forno coprire con un disco di pasta sfoglia croccante e lasciar raffreddare, infine sformare la torta, rovesciarla e gelatinare la superficie con gelatina di albicocca.

 
Nella mia versione mignon l’ho rielaborata aggiungendo un caramello alle mele e una crema ma vi lascio un po’ di curiosità, questa  va provata a Dolcemente Pisa o alla Dolce Vita, vi aspetto!
 

APPETITI ESTREMI

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Appetiti Estremi, di Stefania Pianigiani e Sabrina Somigli, Ara Edizioni
 
Il titolo è accattivante, evocativo, indovinatissimo. Come il buon giorno si vede dal mattino, come  un buon pasto comincia con un aperitivo, o un amplesso è preceduto dai giusti preliminari, così il titolo di un libro è un apri pista fondamentale, è quello che ti invoglia a prenderlo in mano, che ti stimola  a sfogliarlo, che ti convince a leggerlo.
 
E questo titolo mi ha attratto sin dalla prima volta che l'ho visto apparire sui social, senza sapere bene di cosa si trattasse ma lo intuivo. Conosco, anche se da poco tempo,  le autrici, Sabrina e Stefania, due simpatiche amiche toscane, dotate di verve ed ironia,  accomunate dalla stessa viscerale  passione per l'enogastronomia, che hanno condiviso esperienze, situazioni ed amicizie con svariate storie ed aneddoti da raccontare, inerenti alla loro comune passione, che hanno fornito ottimo materiale da cui  trarre  un libro.
 
 
Sabrina Somigli, microbiologa, sommelier e cuoca  presso il ristorante di famiglia Il Maccherone a Pontassieve; di poche parole ma di penna fine, esprime le sue passioni e racconta episodi di vita vissuta, soprattutto nel suo ristorante dove tutto fa Broadway, sulle pagine del suo blog Ecce Kitchen
 
Stefania Pianigiani, una giardiniera-sommelier prestata all'enogastronomia, come lei stessa si definisce; più esuberante ed estroversa dell'amica, è dotata di un sorriso contagioso. Promuove eventi e manifestazioni sul suo sito La Finestra di Stefania e scrive per Agrodolce
 
Sono entrambe due acciughine ed è quasi impossibile credere che siano dotate di Appetiti Estremi in fatto di cibo e vino. Ma i loro  Appetiti Estremi si estendono all'intera sfera dei sensi e  alla vita stessa.
 
Con un' ironia tutta toscana, che sfocia in un umorismo a tratti esilarante  e con uno stile lieve, anche nei racconti più ridanciani, le autrici  tratteggiano personaggi e situazioni  tra l'aristocratico e il  verace, quest'ultimo con un linguaggio consono, senza eccessi da stereotipi cabarettistici. Le scene e le azioni  si dipanano fra meravigliosi paesaggi e ameni luoghi  meno noti ma passano anche per  vere icone medievali e rinascimentali della loro amata terra Toscana, in una continua celebrazione artistico-godereccia, gioiosa ed appassionata.
 
Il libro, che  si è meritato la bella prefazione del critico e giornalista enogastronomico Aldo Fiordelli, è suddiviso in capitoli secondo i pasti della giornata e alla fine di ogni capitolo, non potevano mancare delle ricette di piatti che al meglio rappresentano gli Appetiti Estremi, inerenti ai temi toccati dai racconti contenuti in ogni capitolo con i contributi eccellenti   di chef quali Marco Stabile e Paolo Gori nonché il maestro pizzaiolo Giovanni Santarpia.
Arricchiscono la pubblicazione, inoltre, i deliziosi disegni di Rakele Tondini.
 
Sicuramente c'è più gusto a leggere un libro di cui si conosce l'autore e, per me  è stato ancora più  divertente  riconoscere alcuni personaggi descritti, seppur  rivisti e truccati ma il cui riferimento è volutamente e spiritosamente chiaro come  nello spassosissimo  "Castello di Gargonza" o nell'altrettanto divertente  "Ama". 
"Montefollonico"è malizioso e scoppiettante; delizioso, al limite del romantico "Brolio"; curioso ed inaspettato "Il deserto di Accona".
 
Un libro che non tradisce le aspettative, letteralmente da gustare, centellinando ogni pagina,  ogni riga, ogni parola, se si è raffinati gourmet o  divorandolo in un sol boccone se si è dotati di Appetiti Estremi!
 
 
Stefania, Rakele e Sabrina ad una presentazione alla Stazione Leopolda dove hanno preparato la trippa all'arancia e zafferano, una ricetta contenuta nel libro di una versione raffinata di trippa, che ho avuto il piacere di assaggiare proprio a casa di Sabrina.
 

 
 
 
 


CANNELLONI DI POLENTA E TALEGGIO SU BRüSCITT D'ASINO/CAVALLO

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I Brüscitt, ovvero briciole in dialetto bustocco, cioè di Busto Arsizio, in provincia di Varese, sono un piatto tipicamente invernale diffuso fra l'Alto Milanese, il  Verbano e la Val d'Ossola, sconfinando quindi in Piemonte, a Novara e Vercelli.
Un piatto, cui viene accreditata una non accertata origine zingaresca e  che rappresenta un classico esempio di cucina povera basata  sul recupero di ogni parte possibile dell'animale macellato, in questo caso, le briciole derivate dalla totale spolpatura delle ossa degli animali e di tutti gli scarti dei ricchi; principalmente di manzo ma anche d' asino o cavallo; animali che avevano servito l'uomo nel lavoro dei campi e che proprio quando non ne potevano più e avevano le membra ormai sfibrate e inservibili erano destinati al  consumo, previa lunga cottura per ammorbidire le carni.
Fedeli compagni dei  brüscitt sono polenta o puré di patate e naturalmente vini rossi corposi come bonarda e barbera.

Quando ho appreso il tema della sfida MTC di questo mese, ovvero i raieu co u-tuccu, un classico della tradizione culinaria genovese,  proposto da Monica e Luca, del blog Fotocibiamo vincitori del mese scorso con un'esemplare e inimmaginabile Matrioska, non ho avuto dubbi che stavolta il pesce non ce l'avrei infilato nei ravioli ma mi sarei dedicata alla carne e dopo aver passato in rassegna le tradizioni famigliari dei piatti  che prevedano lunghe e lente cotture, come richiesto dai parametri della sfida, mi sono ricordata dei brüscitt, anche se non era proprio il mio piatto preferito.  
Ma l'idea mi piaceva e non l' ho più cambiata.
Dopo aver fatto approfondite ricerche e capito com'è la ricetta originale, ho scoperto che la mia mamma imbrogliava, o forse solo non conosceva la ricetta originale, usava la carne trita (di manzo)  mentre le briciole vanno tagliate tutte in punta di coltello e nella sua versione mancava un ingrediente che fa nettamente la differenza: i semi di finocchio!!
Per completare l'amarcord, pochi anni fa, durante una visita ai miei genitori, eravamo andati a fare un giretto a Novara e a pranzo avevo mangiato i brüscitt d'asino di cui mi ero innamorata!
Ovviamente avrei voluto farli proprio con la carne d'asino ma qui in Toscana neanche a parlarne. Ho scomodato persino CorradoT, hai visto mai che al Mercato Centrale di Firenze me la trova? Mi telefona in diretta dal mercato, aveva trovato un macellaio che me l' avrebbe procurata ma poi mi toccava andare fino a Firenze a prenderla.  Mi ci ero dedicata già tardi, tra un impegno e l'altro non avrei trovato un incastro.
Mi informo qui in zona, il cavallo sì, l'asino nisba.
Il fidanzato della figlia di un'amica di una mia amica, che lavora su al nord, zona Varese, poteva procurarmelo e portarmelo un weekend che sarebbe venuto giù dalla fidanzata ma non mi sembrava il caso e poi si faceva troppo tardi per i tempi della sfida.
Non potendo anticipare la visita ai miei genitori così me la sarei andata a prendere da sola lassù al nord, ho rinunciato all'asino e optato per il cavallo che è molto simile.
Sono entrambi carni magre, dal gusto aromatico e dolciastro per la presenza di glicogeno, morbide, digeribili e ricche di ferro.
Gli animali destinati al macello oggi sono allevati, hanno carni più morbide, non richiedono più cotture prolungate come in passato. I tagli sono gli stessi per i bovini, quindi per i brüscitt sono adatti tagli come il cappello del prete, collo, spalla e scalfo.

Non essendo un piatto da festa, bisognava  nobilitarli: i brüscitt potevano rappresentare il ragù di ravioli, tortelli o altre paste ripiene. A tale proposito ricordo che a casa mia, il primo piatto della festa, in particolar modo la festa di tutte le feste, il Santo Natale, era per lo più rappresentato dai ravioli alla panna, in virtù delle origini emiliane di mia mamma. Per un periodo venne di moda un rotolo di pasta fresca e spinaci, rigorosamente condito sempre alla panna. Altra variante erano i cannelloni, questa volta con la besciamella. Come mi piacevano i cannelloni, sia di carne che ripieni di ricotta e spinaci, li adoravo, forse perché comparivano così raramente sulla nostra tavola che erano veramente un piatto da grande occasione!
 
E vai con i cannelloni. Ma non voglio rinunciare alla polenta coi brüscitt, allora penso di inserirla in qualche modo nei cannelloni. Ci sono degli chef che fanno ravioli ripieni di polenta ma non mi entusiasma l'idea. E se usassi la farina di mais nell'impasto? Aggiudicato!
E il ripieno? Un'altra cosa che adoravo e adoro è la polenta pasticciata con i formaggi, tipo la taragna valdostana ma, a casa mia, si pasticciava con i formaggi che capitavano. E io pasticcio la besciamella con il mio formaggio lombardo preferito, il taleggio, e ci farcisco i cannelloni. Ci sono! Programmo, eseguo ed ecco qua la mia proposta per l'MTC n. 52:
 
 
CANNELLONI DI POLENTA E TALEGGIO SU BRüSCITT D'ASINO/CAVALLO
 
Ingredienti per 3-4 persone (12 cannelloni ca)

Brüscitt d'asino/cavallo

Ho trovato diverse versioni e sistemi di cottura qui; di seguito la mia personale versione, al posto del burro ho usato l'olio evo, ho aggiunto la cipolla (unica raccomandazione di mamma) e l'alloro (idea mia). Inoltre i semi di finocchio (meglio se selvatico) non li ho messi in una garza da eliminare a fine cottura ma li ho spezzettati e li ho lasciati nei brüscitt perché non mi dispiace affatto se me li ritrovo sotto i denti.

300 g di polpa d'asino o cavallo, taglio del collo, spalla, cappello del prete
50 g di lardo o pancetta dolce
1/2 cipolla dorata medio-grande o 1 piccola
2 cucchiai abbondanti d'olio evo
1 foglia di alloro spezzata
1/2 bicchiere di vino rosso corposo, morbido, non tannico, per me Barbera d'Alba, che poi accompagnerà benissimo il piatto
1 cucchiaino di semi di finocchio
brodo di verdura, sale e pepe bianco di mulinello qb

Tagliate la carne a fette, poi a striscioline e infine a tocchettini grandi come un chicco di mais (forse i miei sono più grandi effettivamente....)
Tritate anche la pancetta e la cipolla, spezzettate  i semi di finocchio.

In una pentola con fondo spesso, l'ottimale sarebbe  la ghisa o la terracotta, mettere la carne,  il trito di cipolla con la pancetta, la foglia di alloro e i semi di finocchio e due cucchiai d'olio evo, coprite con il coperchio e fate andare a fuoco bassissimo per un'ora, un'ora e mezza circa, mescolando di tanto in tanto e controllando che non sia nè troppo liquida né asciughi troppo. Aggiungete il vino, alzate la fiamma per farlo evaporare e poi coprite di nuovo e continuate la cottura per altri 30 minuti ca. Da ultimo rimuovete la foglia di alloro.
La ricetta più integralista non prevede brodo ma solo burro (sì burro!!), altre prevedono aggiunte di brodo o vino nel caso si asciughi troppo, cosa che io ho fatto.


Cannelloni di polenta e taleggio

100 g di farina 00
60 g di farina di mais macinata a pietra
1 uovo intero + 1 tuorlo

400 ml latte parzialmente scremato
150-180 g di taleggio maturo (dal gusto intenso e forte, cioè che olezza di stalla), al netto della crosta
2 cucchiai colmi di farina 00
2 cucchiai di parmigiano grattugiato
sale e pepe bianco di mulinello qb
un pizzico noce moscata grattugiata qb
burro qb

Unite le due farine, ponetele sulla spianatoia formando un mucchietto, lavoratele con le uova, formate una palla e fate riposare mezz'ora coperta da pellicola, fuori dal frigorifero.
Nel frattempo preparate la besciamella (leggera, senza burro, c'è già un bel carico di formaggio grasso) incorporando a freddo il latte nella farina, poi ponete sul fuoco e fate addensare a fiamma bassa mescolando ripetutamente. Fate sciogliere infine nella besciamella il taleggio tagliato a tocchetti. Completate con il parmigiano grattugiato, regolate di sale, pepe e noce moscata.
Tirate la pasta al mais con la macchinetta, lasciandola piuttosto spessa, deve risultare un po' rustica e ricordare la polenta. La mia macchinetta manuale arriva alla posizione 7, io mi sono fermata a 5.
Tagliate dei rettangoli di ca 8-9 x 11-12 di lato (cioè come mi sono venuti....), ne verranno ca 12. Mettete da parte i ritagli, ovvero i maltagliati, per il giorno successivo, ponendoli in frigorifero coperti da pellicola.

Lessate i rettangoli di pasta in abbondante acqua salata per 5-6 minuti, scolateli, metteteli ad asciugare su carta assorbente o un canovaccio pulito. Farciteli con la besciamella ormai fredda, così si sarà rappresa e sarà più facile farcire e richiudere i cannelloni.


Posizionateli in una teglia imburrata, spennellateli semplicemente con un po' d'acqua, cospargete con fiocchietti di burro, coprite con pellicola se li passate nel microonde o alluminio se in forno tradizionale e fateli solo riscaldare in modo che il burro si sciolga, devono rimanere morbidi non devono diventare croccanti in forno, sono già sufficientemente rustici e ruvidi!



Scaldate anche i brüscitt, mettetene una generosa cucchiaiata in una fondina, posizionatevi sopra due o tre cannelloni per commensale e gustateli ben caldi, accompagnati dallo stesso vino utilizzato in cottura ,vedi sopra.










 
 
 





 

MOUSSE DI SEDANO RAPA, BRICIOLE DI CANTUCCINI, LIQUIRIZIA E CIOCCOLATO BIANCO PER LA GIORNATA NAZIONALE DEL SEDANO RAPA, CALENDARIO DEL CIBO ITALIANO AIFB

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Oggi si celebra la Giornata Nazionale del SEDANO RAPA, ce ne parla il suo ambasciatore Fabio Grasso del blog A sourceful of delight.

Le Giornate Nazionali si inseriscono nel progetto Aifb CALENDARIO DEL CIBO ITALIANO , che è la risposta italiana al National Food Calendar statunitense e alle diverse giornate nazionali o internazionali dedicate ad un piatto o ad un prodotto tipico dei vari Paesi del mondo.
Il progetto,  nato da un'idea di Patrizia Malomo e Alessandra Gennaro ed è patrocinato, sviluppato e condiviso dai soci dell'Associazione Italiana Food Blogger,  si propone di diffondere la cultura e la tradizione gastronomica dell'Italia, attraverso l'istituzione di un calendario in cui si celebrano in 366 giornate e 52 settimane nazionali i nostri piatti e i prodotti più tipici, scelti sulla base della loro diffusione e dei loro legami con la cultura popolare e organizzati sulla base del calendario delle stagioni e delle ricorrenze litugiche o istituzionali.



Contribuisco alla Giornata Nazionale del Sedano Rapa con un utilizzo insolito di questa verdura, cioè in un dolce.
Negli ultimi anni, il sedano rapa sta vivendo una certa auge grazie a chef creativi che lo propongono in svariate combinazioni. A casa mia, ricordo che si usava semplicemente a crudo, tagliato a julienne, condito con olio evo e limone oppure diventava un piatto della festa nell'insalata "capricciosa" di mia mamma, insieme alle carote crude, condite con una buona maionese casalinga. É ottimo anche cotto a vapore e ridotto in puré per accompagnare carni o pesci oppure si adatta bene alle vellutate magari accompagnate da crostini saporiti.
 Ma il  gusto del sedano rapa, vagamente nocciolato e fresco si addice anche alle  preparazioni dolci.  Moreno Cedroni, in un suo piatto storico, faceva essiccare in forno sottili  fette di sedano rapa ricavandone delle sfoglie croccanti, montate poi con strati di  mousse di mozzarella e salsa  gianduia.
Vagamente ispirato a Cedroni,  nel mio dolce il croccante è rappresentato da briciole di cantuccini di Prato alla mandorla e il sedano l'ho infilato nella mousse e il gioco funziona. Un dessert fresco, leggero, facile e divertente!



Ingredienti per 4 porzioni

500 g di sedano rapa (peso lordo con la corteccia)
200 ml di panna fresca liquida
50  g di zucchero a velo vanigliato
una decina di cantuccini di Prato alle mandorle
polvere di liquirizia calabrese qb
50 g di cioccolato bianco di buona qualità



Decorticare il sedano, tagliarlo a fette e cuocerlo al vapore. Disporlo su un colino rivestito con carta scottex e farlo sgocciolare bene.
Montare la panna, aggiungere delicatamente la purea di sedano  ben sgocciolata e addolcita con lo zucchero a velo.
Sbriciolare grossolanamente i cantuccini, disporli sulla base di una coppetta o bicchiere, riempire con la mousse, completare con altri cantuccini, cospargere con un pizzico di polvere di liquirizia e scagliette di cioccolato bianco grattugiato.
Tutto qui!

VELLUTATA DI SCARTI DI FINOCCHI CON PALLINE AL PARMIGIANO PER LA SETTIMANA DEGLI AVANZI, CALENDARIO DEL CIBO ITALIANO AIFB

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Arrivo quasi sul fil di lana per la pubblicazione di contributi alla SETTIMANA DEGLI AVANZI - ambasciatrice Cinzia Martellini Cortella, Cindystar Blog per il CALENDARIO DEL CIBO ITALIANO AIFB  ma ci arrivo!
 
La settimana degli avanzi è iniziata il 4 gennaio e si conclude alla mezzanotte di oggi. Rimando al bellissimo post di Cinzia sul sito Aifb per un approfondimento storico culturale e antropologico. In calce al post c'è l'elenco di tutti i soci che hanno contribuito con svariate ricette sul riciclo degli avanzi e sull'utilizzo degli scarti. Non ultimo, nei commenti appaiono anche i contributi dei non soci e dei soci ritardatari come la sottoscritta! E' un progetto bellissimo ed entusiasmante, vorrei pubblicare qualcosa ogni giorno, se avessi tempo!!
 
Contribuisco dunque con una vellutata di scarti di finocchi, un mio cavallo di battaglia in materia di  riciclo e di utilizzo degli scarti.
Nella mia cucina i finocchi d'inverno non mancano mai, stanno d'inverno come ai pomodori d'estate, sono pratici e veloci da preparare. Sono amici delle diete, sono diuretici e depurativi, e, come tante altre verdure ricche di fibre, donano un senso di sazietà anche in piccole quantità. Soprattutto  quando vengono consumati crudi, ci si sente appagati anche psicologicamente perché ci si sfinisce sgranocchiando, sembra di aver mangiato tantissimo invece si incamerano poche calorie pur sentendosi sazi!
 
Quando pulisco i finocchi, preferibilmente da coltura biologica, metto da parte  le foglie esterne più dure e i ciuffi verdi, li pulisco bene, li faccio a pezzetti, unisco una patata, della cipolla bionda o scalogno, eventualmente qualche scarto anche di gambo di sedano e butto tutto nella pentola a pressione o nel microonde coperti d'acqua, faccio cuocere 10 min dal fischio o 10-15 minuti a potenza massima nel microonde, poi scoperchio, unisco del basilico fresco che, grazie a quest'inverno anomalo si trova ancora, almeno qui sulla Costa Toscana, regolo di sale e frullo fino ad ottenere una consistenza cremosa. Per un risultato più vellutato, si può anche passare al passaverdura ma io non voglio rinunciare alle fibre e non mi infastidiscono se me ne trovo qualcuna sotto i denti.
 
Un piccolo suggerimento, magari ovvio,  prima di frullare, meglio togliere un po' d'acqua e aggiungerla poco alla volta mentre si frulla per ottenere la consistenza desiderata, a me piace molto densa, quasi una purea. L'acqua in eccesso può essere riutilizzata come brodo vegetale o bevuta per un insolito aperitivo tiepido!
Normalmente servo la vellutata  con dei crostini di pane tostati in forno, un giro d'olio extravergine d'oliva a crudo e una bella cucchiaiata di parmigiano o grana grattugiato.
Oggi, che è domenica, la  propongo in versione più ricca,  con delle palline al parmigiano reggiano: 
 
Ingredienti per 2 persone:

foglie esterne, gambi e barbe di 2 finocchi grandi
1 patata medio/piccola (100-150 gr con la buccia)
1 scalogno o 1/2 cipolla bionda
300 ml d'acqua
foglie di basilico a piacere
olio extravergine d'oliva, sale
1 cucchiaio di pangrattato + 1 cucchiaio di  parmigiano grattugiato

Per la vellutata, vedi sopra. Per le palline: mischiare il pangrattato con il parmigiano grattugiato, un po' d'olio e un po' d'acqua, quanto basta a formare un composto con cui arrotolare delle  palline grandi come nocciole. Passare le palline  nel pangrattato e farle dorare sotto il grill 5-6 minuti.
 

 

IL 5e5, STREET FOOD DI LIVORNO PER IL CALENDARIO DEL CIBO ITALIANO AIFB

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Oggi si celebra la Giornata Nazionale della FARINATAdel  CALENDARIO DEL CIBO ITALIANO AIFB di cui è ambasciatrice Sara Bonaccorsi del Blog In Cucina con Sara.

Contribuisco alle celebrazioni di questo popolare cibo da strada con la versione livornese della farinata, chiamata  a Livorno e provincia torta di ceci o semplicemente torta, che unita ad un panino dà origine al  popolare 5&5. Un cibo a base di prodotti di terra, nato curiosamente in mare, la prima  delle specialità labroniche con le quali ho fatto conoscenza e tuttora la mia preferita.
 
Livorno è una città portuale dalla storia singolare, aperta e multietnica con una connotazione fortemente popolare e verace, dal vernacolo schietto e rude,  dall’umorismo unico, patria del “deh” e di Mascagni, Modigliani, Fattori ma anche  del Vernacoliere, del cacciucco, delle triglie, del ponce, non poteva non avere anche un suo cibo da strada.
 
La torta al taglio
 
Il 5e5 è dunque un panino, o una focaccina, farcito con la torta di ceci preparata come la farinata, una sorta di crespella fatta con farina di ceci, acqua, olio extravergine d’oliva e sale, cotta preferibilmente in forni a legna, in speciali teglioni tondi di rame stagnato. Ci si può cimentare a prepararla in casa, il risultato è accettabile ma non potrà mai eguagliare quella cotta nei forni a legna, esattamente come la pizza.
Il nome deriva dalla consuetudine, in uso a partire dalla metà del XX° secolo, quando il connubio fra pane e torta fu ideato, di chiedere al “tortaio” (il venditore di torta) 5 centesimi di pane e 5 centesimi di torta, da lì l’abbreviazione : “un 5e5”.
Il pane utilizzato è prevalentemente uno sfilatino, detto anche “francesino” o una focaccia tonda (a Livorno e provincia la focaccia si chiama anche “schiaccia”). La torta viene tagliata a fette spolverizzata di abbondante pepe e messa nel panino/focaccia, da consumarsi caldo naturalmente. Il 5e5 viene venduto principalmente dai botteghini/bar insieme alle pizze a taglio. Può essere consumato come spuntino ma ci si può tranquillamente pasteggiare perchè da un punto di vista nutrizionale rappresenta un piatto unico e completo, come la pizza ma privo di colesterolo perchè i grassi sono solo vegetali.
Tradizionalmente con la torta si beve la spuma bionda, una bibita gassata dolce, aromatizzata  in vari modi, dalla formula, pare, più segreta della sua moderna antagonista, la coca cola (e sulla spuma si potrebbe aprire un capitolo a parte…..)
C’è chi aggiunge le melanzane sotto pesto ("sotto pesto" a Livorno significa: aglio, prezzemolo e peperoncino, localmente chiamato zenzero!), perché senza melanzane è da pisani! Chi invece lo esalta in purezza. Ma non azzardatevi a chiamarla “cecina” (un’altra denominazione della torta di ceci) perché anche questo è da pisani (o viareggini) e sappiamo bene che fra Livorno e Pisa non corre proprio buon sangue….
5e5 con focaccina, torta e melanzana "sotto pesto"
 
Come descritto  dal bell'articolo di Sara per il Calendario, ci sono diverse teorie riguardo all'origine della farinata/torta di ceci.  Sicuramente la più gustosa è quella più leggendaria e poetica che  fa risalire le origini della torta di ceci  al XIII° secolo e, per ironia della sorte, la storia non sembra affidarne la paternità né ai pisani né ai livornesi ma ai genovesi.  Livorno entra in gioco indirettamente solo perché tutto si svolse nello specchio di mare a poche miglia dalla città, intorno alle secche della Meloria, teatro della storica battaglia omonima del 1284 fra Genova e Pisa, che vide la sconfitta di quest’ultima.
Narra la leggenda che proprio dopo la battaglia della Meloria, una nave che trasportava prigionieri pisani verso Genova, trovandosi in balia delle onde del mare in tempesta per molti giorni, subì danni gravi alla stiva e imbarcò molta acqua. Fra le merci trasportate c’erano molti  ceci (i legumi erano un ottimo carburante per i vogatori), questi si ammollarono, qualche barile d’olio si ruppe e si formò così una purea. Dopo giorni e giorni in mare, le provviste scarseggiarono e i marinai si videro costretti a cibarsi dell’insolita pappetta poco attraente. Molti pisani la rifiutarono, salvo poi cedervi in seguito ai morsi della fame divenuti insopportabili.
Messa al sole ad asciugare, la poltiglia divenne una focaccetta croccante e risultò alla fine addirittura appetitosa. I Genovesi sfruttarono questa scoperta occasionale, ne perfezionarono la ricetta cuocendola in forno e battezzandola per scherno agli avversari “oro di Pisa”.
In conclusione, la torta di ceci quasi sicuramente è di brevetto genovese, dovuto indirettamente ai pisani, ma l’unica cosa certa è che a Livorno va l’indubbio  merito di averla messa nel panino e di aver creato l’irripetibile  5e5! Deh! E il "deh" detto da una lombarda vale il doppio perché fa ancora più ridere….

 
Questa è la ricetta della Torta di Ceci che faccio io secondo le istruzioni della cognata livornese:
 
150 g di farina di ceci
450 g di acqua
3-4 cucchiai d’olio extravergine d’oliva + qb per ungere la teglia
Sale, Pepe nero al mulinello
 
Stemperare la farina con l’acqua, aggiungere 4-5 cucchiai d’olio e un pizzico di sale (deve risultare liquida). Coprire con un panno e lasciar riposare 3-4 h. Ungere con olio extravergine d’oliva una teglia di 30-32 cm di diametro possibilmente di rame stagnato, versare la pastella in uno strato molto sottile (max 5 mm), cuocere in forno preriscaldato a 200-250°C per ca 15 min e poi far gratinare la superficie sotto il grill per 8-10 min. Cospargere con una spolverata di pepe nero macinato al momento e farcire un francesino al naturale o una focaccina leggermente tostata.

 

PASTA FAGIOLI E COTICHE CON BOTTARGA DI MUGGINE PER IL CALENDARIO DEL CIBO ITALIANO AIFB

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11-17 gennaio Settimana del Maiale, Ambasciatore Corrado Tumminelli, blog CorradoT
16 GENNAIO - GIORNATA NAZIONALE DELLA  PASTA E FAGIOLI,
Ambasciatrice Sabrina Tocchio, blog Natosottoilcavolo


Contribuisco alla settimana del maiale e alla giornata della pasta e fagioli con una personale versione della pasta, fagioli e cotiche modenese,  ispirata ad un piatto di uno chef  di mia conoscenza, Angelo Torcigliani del ristorante Il Merlo di Camaiore, Lucca, che propone la pasta e fagioli con una grattugiata di bottarga di merluzzo che prepara da sè. Io ho unito anche le cotiche, secondo la tradizione modenese e ho voluto provare l' ingrediente estraneo, la bottarga, però quella di muggine che avevo in casa, più delicata di quella di merluzzo. La bottarga, con il suo gusto intenso e la sua caratteristica sapidità marina contrasta  la voluttuosa dolcezza dell'insieme del piatto e crea una combinazione decisamente insolita e divertente al palato.

Ingredienti per 2 persone
 
300 g di fagioli borlotti freschi (o 150-180 secchi da ammollare e cuocere a parte)
aglio, cipolla, sedano, carota, alloro, erba salvia
2-3 cucchiai di passata di pomodoro
2-3 pezzi di cotenna di maiale
80 g di pasta tipo mischiato gentile di Gragnano
bottarga di muggine intera non troppo stagionata
sale, pepe nero qb
olio extra vergine d'oliva qb 
 
Rosolare in un cucchiaio d'olio evo il trito di odori, unire i fagioli freschi a crudo, coprire con brodo di verdure o semplicemente acqua calda, un paio di cucchiai di passata di pomodoro e cuocere fino a che saranno teneri  allungando col brodo di tanto in tanto (se si usano i fagioli già cotti, basterà farli insaporire e cuocere una decina di minuti).
Cuocere anche le cotenne e tagliarle a quadrotti.
Togliere l'alloro e la salvia, una manciata di fagioli interi e due cucchiai di liquido di cottura. Frullare tutto il resto a crema, regolare di sale. Nel frattempo lessare la pasta. Per la versione coreograficamente più curata come nelle foto: scolare la pasta e  condirla con il liquido di cottura dei fagioli.
Mettere in una fondina un mestolo di crema di fagioli, disporre un mucchietto di pasta al centro, alcuni fagioli interi e i quadrotti di cotenna intorno, cospargere con scagliette di bottarga, completare con un giro d'olio evo dal gusto intenso, con buona piccantezza e una macinata di pepe nero. Guarnire con una fogliolina di erba salvia.
 
Per una versione più casereccia, cuocere al dente la pasta, finirne la cottura della crema di fagioli, eventualmente diluita con altro brodo, aggiungere quelli interi e poi completare come sopra.
 

ARISTA SOTT'OLIO PER LA SETTIMANA DEL MAIALE, CALENDARIO DEL CIBO ITALIANO AIFB

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La mia arista sott'olio per l'ultimo giorno della SETTIMANA DEL MAIALE 11-17 gennaio, del CALENDARIO DEL CIBO ITALIANO AIFB, Ambasciatore Corrado Tumminelli, blog CorradoT 
Per approfondimenti sul progetto: Calendario del Cibo Italiano
 
Non potevo che onorare l'amico toscano Corrado, grande cerimoniere della settimana del maiale, con una ricetta classica e toscanissima e ho optato per l'arista sott'olio che non avevo mai fatto prima.
L'arista sott'olio, diffusa un po' in tutta la Toscana,  risale ai tempi in cui nelle fattorie s'ammazzava il maiale e nasceva l'esigenza di conservare ciò che non veniva consumato subito, vedi la produzione di prosciutti, salsicce, salami e insaccati in genere, ciccioli e compagnia.
Bisogna rammentare che nelle campagne fino al secondo dopo guerra e anche oltre, congelatori e frigoriferi non erano ancora diffusi, soprattutto a livello domestico. Le tecniche di conservazione attingevano all'antica sapienza, frutto di scoperte empiriche: salagione, essicazione,  sott'olio o sott'aceto e sono rimaste in uso fino ai tempi odierni con opportuni miglioramenti ed ottimizzazioni grazie alla ricerca scientifica e alla tecnologia.
 
 
L'arista è un taglio della lombata di maiale con o senza osso, molto utilizzata in Toscana per gli arrosti. Io ho optato per quella senz'osso ovviamente.
Meglio insaccarla in una rete di spago, che la compatta e gli conferisce una forma più cilindrica e uniforme.
Per metterla sott'olio, prima bisogna cuocerla, farla raffreddare bene e poi si può invasare a tocchi spessi,se si vuol fare riposare a lungo o a fettine per un consumo più a breve termine.
Si cuoce con pochi aromi, gli aromi si aggiungono nell'olio.
 
Ingredienti per un arrosto per  4 persone
 
800 g di arista di maiale
1/2 bicchiere di aceto di mele o vino bianco
sale, pepe nero, rosmarino
 
Per la conserva sott'olio:
 
250-300 ml di olio extravergine d'oliva toscano (meglio se dell'anno passato, quando avrà perso l'intensità di gusto, l'amaro e la piccantezza della gioventù)
1 vaso a chiusura ermetica da 500 ml
bacche di ginepro
semi di finocchio
foglie d'alloro
ciuffi di rosmarino
grani di pepe nero
1 spicchio d'aglio grande
 
Tritate il rosmarino, macinate il pepe nero e uniteli al sale per formare un mix aromatico con cui cospargere bene l'arista.
Rosolate la carne a fuoco vivace in una casseruola antiaderente con poco olio evo, sfumate con aceto di mele o vino bianco, coprite, cuocert a fuoco dolce, allungando con poco brodo di verdura, se necessario, per 45-50 minuti.
C'è chi la cuoce in forno avvolta in carta da forno e aggiunge del latte nell'ultimo quarto d'ora per mantenere la carne più morbida. Io ho cotto la carne in tegame coperto ed è rimasta morbidissima. 
 
Se resistete a non mangiarla appena fatta ( ma perché no? ne metterete di meno sott'olio e basterà per meno persone, a voi la scelta), lasciatela raffreddare  bene e poi trasferitela in un vaso di vetro, con o senza spago, colmate con olio evo e condite con tutti gli odori, bacche e semi. Fate riposare almeno 10-15 giorni, in modo che la carne assorba tutti i profumi.
Servitela affettata finemente, irrorata col suo olio, accompagnata da fagioli cannellini, secondo l'uso toscano, oppure con una croccante e profumata misticanza di insalatine ed erbe spontanee.
 
 
 
 
  
 
 
 
 
 
 
 


MARMELLATA DI LIMONI ALLA VANIGLIA PER LA SETTIMANA DEGLI AGRUMI, CALENDARIO DEL CIBO ITALIANO AIFB

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Il mio piccolo contributo alla SETTIMANA DEGLI AGRUMI del CALENDARIO DEL CIBO ITALIANO AIFB, di cui è ambasciatrice Aurelia Bartoletti del blog Profumi in cucina, che ha scritto un'introduzione molto interessante ed esaustiva su questi frutti così preziosi per la nostra salute, in particolar modo ora che è arrivato il freddo intenso, sono insostituibili fonti di vitamina C.
 
Fra gli agrumi, quello che uso maggiormente per cucinare è il limone. Una scorzetta di limone la infilerei ovunque, in una torta e nei biscotti una grattugiatina non può mancare,  per non parlare di creme e farce così come in piatti salati, sia di carne che di pesce. Ma anche una semplice spaghettata in bianco, olio evo, una spruzzata e una grattugiata di limone e parmigiano reggiano, per me non è da malati ma un piatto squisito! Inoltre, adoro preparare le scorze candite e le marmellate. E il golosissimo limoncello? Per questo rimando al bellissimo articolo di Rosaria Orrù, Sosi Dolce e salato, per la Giornata Nazionale del limoncello del 19 gennaio, che si inserisce a pieno titolo nella settimana agrumata!
 

Quello che propongo è un mio esperimento di marmellata di limoni con la vaniglia, che conferisce una nota morbida, profumata e raffinata e che ammorbidisce un po' l'agro e l'amarognolo del limone. La ricetta risale a qualche anno fa, la riscrivo qui sotto.
Realizzata con limoni del giardino di amici, rigorosamente non trattati e che mi sono raccolta da sola, non prima di averli immortalati.
 



Ingredienti per 1 kg di polpa di limoni

1 kg di polpa di limoni (1,5  kg ca di limoni interi, con la buccia, non trattati)
800 g di zucchero di canna chiaro
1  bustina di pectina di mele bio ( dose  per 1 kg di polpa/liquidi)
1 baccello di vaniglia

Sbucciare i limoni, tagliarli a fette, metterli a macerare per 24 h in una capiente pentola con 1 - 1,5 l di acqua fredda. Poco prima di cuocere la marmellata, asportare l'albedo (la parte bianca) alla scorza di metà dei limoni, tagliarla a julienne non troppo sottile; sbollentare le scorze  in acqua per 3 volte, cambiando ogni volta l'acqua.
Eliminare eventuali semi dalla polpa di limoni, portare a bollore facendo evaporare un poco l'acqua (riducendola di un terzo ca), aggiungere lo zucchero e la pectina, frullare tutto in modo un po' grossolano, così da far rimanere pezzi di polpa interi. Aggiungere le scorze sbollentate e i semini estratti dal baccello di vaniglia, far riprendere il bollore e cuocere per 15-20 minuti circa, fino a quando la marmellata velerà il cucchiaio.

Sterilizzare  i barattoli di vetro e i coperchi, in forno a 180° C per 8-10 minuti, invasare la marmellata bollente, chiudere i barattoli e assicurarsi che si sia creato il vuoto (la capsula del coperchio dovrà rientrare verso l'interno emettendo il classico "clack"). Conservare in luogo asciutto.


 

LO STUFATO ALLA SANGIOVANNESE PER IL CALENDARIO DEL CIBO ITALIANO AIFB

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Giornata Nazionale dello Stufato alla sangiovannese per il Calendario del Cibo Italiano Aifb,
Ambasciatrice: Maria Pia Bruscia, blog La Apple Pie di Mary Pie


Mi sono innamorata dello stufato alla sangiovannese tre anni fa. Lo conoscevo solo sommariamente, poi mi è capitato di essere invitata, insieme a Patty di Andante con gusto e Corrado di CorradoT, dall'amico Leonardo Romanelli,   a partecipare alla giuria di cui lui è da anni presidente,  del PALIO DELLO STUFATO  a San Giovanni Valdarno, Arezzo.
E' stata una bellissima esperienza oltre che una splendida giornata! Qui il mio feedback dell'evento del 2013 : IV PALIO DELLO STUFATO ALLA SANGIOVANNESE
In seguito, l'occasione per cimentarmi in una mia interpretazione di tale stufato, mi è stata offerta
dall'MTC del gennaio 2014 sullo spezzatino.
 
  
 
Un piatto squisito, succulento e profumatissimo con una storia singolare di cui ci parla approfonditamente Maria Pia nel suo articolo per Il Calendario del Cibo Italiano Aifb. 
Io ho seguito le  indicazioni di massima per la realizzazione del piatto, fornite  dalla pro-loco di San Giovanni Valdarno :
 
INGREDIENTI: Carne di manzo (adulto sottolineano i veterani), la parte del  muscolo di zampa (anteriore possibilmente)  , battuto o trito di cipolla, sedano, carote e prezzemolo; a parte, battuto fine fine di aglio e bucce di limone; sale, pepe, spezie miste (ovvero "IL DROGO", ognuno ha la sua miscela segreta) e un po' di noce moscata; ossi della bestia, olio extra vergine d'oliva, vino rosso, un po' di conserva.
 
PREPARAZIONE : Il segreto è difficile a spiegarsi perché dipende da una serie di cose importanti come: la quantità e tipo di carne, tipo di tegame (si consiglia di coccio o alluminio), mestolo (solo di legno) col quale deve essere ben girato il tutto, infine la mano che lo lavora. Comunque: mettere la carne nel tegame con l'olio e i due battuti. Mettetevi sale, pepe,  spezie miste e noce moscata. Girare il tutto col mestolo e mettere al fuoco.
A parte si è messo a bollire lentamente gli ossi con solo acqua. Rosolare bene finché l'olio in fondo al tegame non appaia trasparente.
A questo punto aggiungere vino rosso in quantità che ricopra la carne e farlo evaporare a fuoco vivace. Quando si è ritirato, assumendo un colore marrone, aggiungere un po' di conserva in quantità tale da non dare alla carne un aspetto troppo rosso. Si aggiunge il brodo degli ossi via via che la carne lo richiede. Un quarto d'ora prima della cottura si aggiunge un pizzico di noce moscata. Il tutto deve bollire lentamente per circa quattro ore.


 
E questa è la mia personale libera interpretazione, con dosi a mia discrezione. Ho pensato di accompagnarlo con un pane arabo in onore di quel cuoco che si innamorò delle spezie in Libia e a cui si deve questa splendida preparazione, divenuta patrimonio della nostra cultura gastronomica!
 
Ingredienti per 2-3 porzioni
 
500-600 g di muscolo di bovino adulto tagliato a tocchetti
1 gambo di sedano
1 carota
1 cipolla media
1 ciuffetto di prezzemolo
1 spicchio d'aglio
2-3 scorze di limone non trattato, ottenute con il pelapatate
misto di spezie tritate: cumino, aneto, coriandolo, chiodi di garofano (pochi), cannella (poca), pepe nero + noce moscata grattugiata a parte
1 foglia di alloro (l'unica aggiunta personale)
olio evo, sale
ossi misti per brodo, acqua qb
vino rosso (io ho usato un Montecucco Doc, sangiovese grosso)
un po' di conserva di pomodoro
 
Per il pane arabo:
 
150 g di farina 0
lievito di birra 10 g
acqua qb
sale

Il giorno prima  ho preparato il brodo seguendo le istruzioni e mettendo su solo gli ossi con acqua a freddo e lasciando andare piano piano per un paio d'ore.
Il giorno successivo ho avviato lo stufato in una casseruola d'alluminio, secondo le indicazioni sopra riportate aggiungendo  una foglia di alloro nel battuto (non ho potuto resistere). Ho annusato per ore quel profumo che si sprigionava e cambiava evolvendosi man mano che procedeva la cottura. Alla fine ho esultato assaggiandolo, forse la fortuna dei principianti ma era proprio quel profumo e quel gusto che avevo assaggiato  a San Giovanni Valdarno, inconfondibile, indimenticabile!
Mentre lo stufato cuoceva lentamente,  mi sono messa a preparare il pane: ho sciolto il lievito in un po' di acqua tiepida e l'ho amalgamato alla farina, lavorando un poco, ho aggiunto il sale, ho diluito con altra acqua senza misurarla, vado a tatto, la pasta deve essere morbida, liscia ed elastica. L'ho lasciato lievitare per un paio d'ore.
Infine ho ricavato dei dischi dalla pasta e li ho cotti in una padella antiaderente, pochi minuti per parte.

Indecisa su come servirli, ho provato due versioni: una più tradizionale/occidentale, nelle singole cocottine, accompagnato da pane arabo,  e la seconda, più in stile "berbero" adagiando lo stufato direttamente sopra alla pita. A ciascuno il suo!
 
 
 

CHEVRE CARAMEL: BAVARESE AL CAPRINO, PERE, FARRO SOFFIATO E CARAMELLO AL MIELE DI CASTAGNO

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Ogni sfida Mtc è una sfida con se stessi in  un  crescendo di emozioni e gioie provate nello sperimentare nuove ricette affrontando imprese e difficoltà che sembrano insormontabili o interpretare un tema esprimendosi al meglio per onorare degnamente il gioco più bello del web l'Mtchallenge.
Questo mese il tema dell'MTC n. 54 è  IL MIELE, lanciato in tandem dai due bravissimi vincitori della sfida precedente sulle zuppe e minestre: Eleonora e Michael, blog Burro e Miele . Nel loro splendido post il dr Michael Ilan Meyers, nuovo acquisto Mtc, compagno di avventura di Eleonora, ci erudisce sugli aspetti nutrizionali e salutari di questo prezioso nettare naturale; Eleonora ci offre ben tre esempi di come utilizzare il miele in cucina, sia a crudo che in cottura in piatti salati e dolci.
 
Sono una discreta estimatrice di mieli ma grazie a questa sfida che  offre lo spunto per approfondimenti e materiale interessantissimo grazie alle nozioni degli sfidanti stessi e grazie alle rubriche del sito MTC, ho scoperto di conoscerne ben pochi.
Presa dalla frenesia della conoscenza e dalla febbre emmeticina, ne ho comperati diversi tipi e sono arrivata a 10 ma non sono nulla!
In dispensa tengo regolarmente  quello di castagno, in assoluto il mio preferito (e anche del marito) e quello di acacia. Poi prendo spesso anche quello di tiglio che adoro, con quella nota di noce e quello di fiori d'arancio (che ho usato per la mia proposta  agrodolce) e il passe-partout millefiori.
I nuovi arrivati sono: trifoglio, erica, edera, girasole, coriandolo, eucalipto.
Dopo i vari assaggi, confermo la mia predilezione per quelli aromatici o con una connotazione precisa (e conferma pure il marito)
Detto questo, volevo proporre anche un dolce per l'Mtc n. 54. Brancolavo nel buio totale e intanto vedevo arrivare meraviglie, frutto di grandi virtuosismi a cui non posso aspirare ma non demordo.
Per l'occasione ho acquistato un libro di cui avevo letto su La Cucina Italiana: "Un cucchiaio di MIELE" di Hattie Ellis, edizione italiana Guido Tommasi Editore oltre a THE FLAVOR BIBLE, Karen Page ed Andrew Dornenburg, consigliato dalla nostra signora dell'Mtc Alessandra Gennaro
Consultando entrambi i libri ma soprattutto il primo citato, fra i tanti dolci illustrati, rimango folgorata da una sciocchezzuola, dolce/non dolce come piace a me: popcorn con caramello al miele. Scatta l'amarcord e il neurone: ripenso ad un dessert sconcertante assaggiato ben sei anni fa, agli albori del blog, dall'amico chef  Cristiano Tomei dell'Imbuto di Lucca, ovvero bavarese alla birra, gelatina di gazzosa e popcorn (non caramellati però, in seguito li avrebbe  riproposti anche caramellati in uno dei suoi straordinari dolci non dolci). Mi stuzzicava molto l'idea del popcorn caramellato ma non vedevo un legame soddisfacente tra miele e birra. Ma il bavarese ("il" sì, è maschile, o meglio dovrebbe essere maschile ma poi è in uso anche e soprattutto al femminile; precisazione tratta dal sito Bavarese.it, per la gioia della Van Pelt) ormai mi si era conficcato nella capoccia e anche il popcorn era difficile da far uscire.
Come al solito, arriva il momento in cui o ti si accende la lampadina definitivamente o il neurone si spegne e stop.
Proprio lunedì, dopo una estenuante riunione di lavoro con l'amica chef Deborah Corsi e l'agenzia eventi per l'organizzazione della prossima manifestazione san vincenzina Un Mare di Gusto, in programma fine aprile/primi di maggio, Deborah ci invita a rimanere per "mangiare qualcosa insieme", leggi : pranzo dall'antipasto al dolce, inclusa piccola pasticceria col caffè, il tutto annaffiato da un ottimo spumante naturalmente". La chef era arrabbiata, si è sfogata così e noi ne abbiamo approfittato allegramente onorando la tavola. E che mi prepara la mia dolce amica? Un bavarese alla ricotta. Lampadina! Ci sono.
Decido di sfruttare il più semplice e classico degli abbinamenti: formaggio e miele, a cui, strada facendo,  poi aggiungo anche le pere, inutile spiegare il perché giusto?
Voglio però utilizzare il mio amato miele di castagno, lo so che andrebbe su formaggi tipo pecorino un po' stagionato ma perché no con un caprino che anche se giovane e cremoso, ha un carattere forte e un  gusto netto e intenso. Del resto, io il miele al castagno lo metto anche sulla ricotta perché mi piace il contrasto deciso. Il caramello al miele che ho trovato sul libro è più una salsa mou, il burro stempera un poco il gusto marcato del miele di castagno che ha già note caramellate proprie quindi non deve realmente "caramellare" come lo zucchero. Inoltre rende il miele più consistente e divertente per fare i ghirigori sui dolci :-)
Per quanto riguarda le pere, ho scelto le williams poco mature, che hanno una buona acidità che sostiene quella del caprino. Le ho semi-caramellate con poco miele di trifoglio dal gusto più dolce e neutro, con un'idea di spezie, una spruzzata di limone e qualche scorzetta per profumare.
E i popcorn? Ci ho rinunciato,  li ho sostituiti con del farro soffiato, più toscano, per dare un tocco di lieve croccantezza.
Last but not least, visto che il titolo diventava una "lista della spesa", ho deciso di rinominarlo chèvre caramel!
 
CHEVRE CARAMEL
(bavarese al caprino, pere semi-caramellate, farro soffiato, caramello al miele di castagno)
 
Ingredienti per 4-6 porzioni
(stampi di forma e dimensioni  a piacere e secondo la ghiottoneria)

bavarese
250 ml di panna liquida fresca (220 per il bavarese + 30 per decorare)
150 g di caprino fresco
  40 g di miele di trifoglio (o acacia)
    4 g di colla di pesce in fogli

pere
1 pera tipo Williams non troppo matura (200g)
1 cucchiaio di miele di trifoglio (o acacia)
1 limone non trattato, scorza e succo
2 chiodi di garofano, una puntina di cannella in polvere
acqua qb

caramello al miele
20 g di burro
2 cucchiai di miele di castagno
1 cucchiaino di zucchero di canna chiaro

Farro soffiato qb

Mettete a bagno in acqua fredda i fogli di colla di pesce per 10-15 minuti. Sciogliete il miele di trifoglio in 80 ml di panna a fuoco basso, scolate e strizzate la colla di pesce, unitela alla panna, fate sciogliere. Togliete dal fuoco, lasciate intiepidire prima di unire il caprino, schiacciandolo  con una forchetta, da ultimo frullate brevemente il tutto per amalgamare bene il composto e trasferitelo in una ciotola che avrete messo precedentemente a raffreddare in frigorifero.
Semi-montate la restante panna ben fredda (tranne i 30 g per decorare che monterete completamente a parte) e incorporatela delicatamente al composto. Infine versatelo in stampini di forma e dimensione a piacere. (io ho riempito  uno stampo in silicone da 160 ml e 5 stampini da 70 ml cad; fate le debite proporzioni per calcolare le porzioni in base agli stampi che avete o vice versa)
Ponete il bavarese in frigorifero a rassodare per qualche ora.

Nel frattempo preparate le pere. Sceglietele ben sode e non troppo mature, anzi piuttosto indietro di maturazione, in modo che non si spappolino cuocendosi e anche perché avranno una maggiore acidità che sosterrà il caprino del bavarese.
Pelatele e tagliatele a tocchetti, mettetele in un padellino con qualche cucchiaiata d'acqua, una spruzzatina di limone, i chiodi di garofano, una puntina di cannella in polvere, qualche scorzetta di limone e il miele, fate semi caramellare, cioè appena accenna a schiumare, togliete dal fuoco. Devono insaporirsi, ammorbidirsi ma non cuocere completamente, inoltre devono rimanere un po' bagnate.
Fate raffeddare.

Per il caramello, fate sciogliere in un pentolino a fuoco minimo il burro, aggiungete il miele e lo zucchero, fate sciogliere, alzate un pochino la fiamma, lasciate sobbollire 30 secondi e poi togliete dal fuoco. Appena inizia a rapprendere, trasferite il caramello-mou in una siringa da pasticciere.

Montate ben soda la panna per la decorazione.
Sformate il bavarese direttamente nel centro di un piatto da portata, guarnite con ciuffi di panna montata, alternati alle pere fredde con le scorzette di limone semi-candite, scartando i chiodi di garofano, nappate con il loro sciroppo di cottura. Mettetene un mucchietto al centro del bavarese. Cospargete con farro soffiato, infine siringate un po' di  caramello sopra al dolce facendolo filare.
 
Un impiattamento classico, un po' vintage per  un dolcetto semplice, praticamente for dummies ma che bontà! E che felicità quando quello che hai in mente poi si materializza esattamente come volevi e al gusto non ti delude!! Il caprino si sente bene e tutti gli annessi e connessi si armonizzano in un gioco dolce-agro-aromatico-speziato, voluttuosamente cremoso, con piccole note croccanti a contrasto,  molto divertente e soddisfacente sia per chi lo prepara che per chi lo mangia!!
 






 

LA MIA ACQUACOTTA D'ERBE SELVATICHE PER IL CALENDARIO DEL CIBO ITALIANO AIFB

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Contribuisco a questa giornata con la mia acquacotta d'erbe selvatiche.
Quando si parla di acquacotta, si pensa subito alla profonda Maremma, quella dei cavalli selvaggi e dei buoi candidi dalle lunghe corna, dei bufalai autentici e dei butteri incavolati con quell'intruso di Buffalo Bill, che intendeva insegnar loro qualcosa che essi invece ben conoscevano sin dalla nascita!
Non poteva esserci migliore ambasciatrice di Tamara, maremmana Docg! Rimando dunque al suo post introduttivo per un approfondimento sui due piatti  si celebrano oggi per il Calendario del Cibo Italiano Aib di cui sopra.
 
Un celebre dipinto di Giovanni Fattori del 1893 con butteri e mandrie maremmane al pascolo, conservato al Museo Civico Giovanni Fattori di Livorno 
 
Io abito nell'Alta Maremma, sono importata ma mi sono ben acclimatata e appassionata da subito alla cultura gastronomica della regione che mi ha ospitata.
Parlando dell'Alta Maremma, il granduca Leopoldo II asseriva che era "Maremma" tutto il visibile dal largo della costa toscana, compresi i cosiddetti paesi "marittimi", sia vicini al mare come Rosignano, Castellina, Casale, Castagneto e Campiglia, sia più interni e lontani come Monteverdi, Monterotondo e Massa, tutti nomi seguiti infatti  da "marittimo/a".
"Maremma" era laddove c'erano paludi, acquitrini, visi smunti e branchi di animali bradi tenuti a bada dai butteri, ai quali non era difficile scovare, anche dall'alto della cavalcatura, l'erbetta più acidula, il radicchio meno amarognoli, il piscialletto più saporito. Con quelle erbe e magari una cipolla sottratta alla panzanella e acqua a coprire tutto, veniva imbastito una specie di infuso che non poteva che chiamarsi "acquacotta" dato che, oltre all'acqua c'era ben poco d'altro. Il "qualcos'altro" era legato alla natura del posto, alla presenza di erbette per molti anni snobbate e ora oggetto della moda del foraging, come la cicoria, la valerianella, il raperonzolo, il crescione, la borragine, lo spinacino selvatico, la cicerbita, l'erba vetriola, le ortiche. 
A rimpolpare l'esiguo rancio, panacea di antiche fami, come in molte zuppe toscane,  non poteva e non può mancare il pane posato toscano che assorbe il liquido e la zuppa diventa così densa che la puoi mangiare con la forchetta. Non ultimo i butteri spaccavano dentro alla zuppa bollente, direttamente nel paiolo, tutte le uova che raccattavano anche se di palude e impucinate, che si rapprendevano subito nel recipiente. E la nobilitazione finale: abbondante pecorino grattugiato, se c'era. 
Non posso fare a meno di citare una delle mie fonti principali in materia di cucina della Costa Livornese e dell'Alta Maremma, di cui ho conosciuto personalmente alcuni autori e a cui attingo spesso per le mie ricerche. Parti del testo qui sopra sono infatti tratte da Il Codice della Cucina Livornese, ed. Villa Guerrazzi, Cecina, 2002 di Luciano Bezini e Umberto Creatini con la collaborazione di Aldo Santini, Enrico e Claudio Guagnini, la cui edizione è, purtroppo,  esaurita da tempo.
 
Proprio sul citato Codice della Cucina Livornese,  viene proposta una versione di acquacotta più attuale, con l'aggiunta di pomodoro e oltre alle erbe selvatiche, anche cavolo e bietole che si possono acquistare ovunque, con alcune indicazioni per cuocerla nelle cucine di casa. Viene consigliato infatti di cuocere l'uovo a parte, o rosolato in tegamino all'occhio di bue o in camicia e poi posizionato sulla zuppa piuttosto che romperlo direttamente nel "paiuolo". Ho seguito la versione del libro, personalizzandola un po' utilizzando esclusivamente erbe selvatiche (sia cotte che crude) raccolte da me medesima sui poggi di  Castiglioncello.
 
Ho imparato a riconoscere le erbe frequentando il mercato dove alcune donnine portavano nelle ceste le erbe miste di campo, me le facevo spiegare e con i campioni andavo per campi, le confrontavo e così mi fidavo a raccogliere. Non ultimo, proprio recentemente, ho seguito con un gruppo di amici, uno chef e parte della sua brigata, un mini corso sulle erbe spontanee, tenuto da una botanica, con esperienza di raccolta e raffronto sul campo, nel vero senso della parola. Sì, perché la raccolta di erbe selvatiche è una cosa seria, bisogna fare molta attenzione, bisogna affidarsi a chi le conosce bene; ce ne sono di molto simili fra loro che si confondono facilmente e alcune sono tossiche se non addirittura velenose, quindi GRANDE CAUTELA! Io, quando sono nel dubbio, non mi arrischio. Inoltre bisogna anche stare attenti ai luoghi dove si raccolgono, mi sembra superfluo sottolineare che non si raccolgono ai margini di strade o lungo fossi che possono essere inquinati, né tanto meno vicino a campi coltivati dove possono essere stati fatti trattamenti chimici. L'ideale è la macchia, lontana dal tessuto urbano, coi suoi prati selvaggi e incontaminati (o almeno si spera)
Lungi dall'essere un'esperta, sto sempre studiando ma insomma, ne conosco abbastanza per farci una discreta zuppa e grazie a quest'inverno mite,  nei campi c'è un'abbondanza di specie che solitamente non si trovano in questo periodo.
 
Vari radicchi più o meno amari, per la zuppa ho scelto quello più dolce, il crepis leotodontoides o insalatina di monte, poi borragine, rapini, cicerbite, erba vetriola e plantago lanceolata o piantaggine(dal lieve sapore di fungo). Come finitura a crudo: finocchietto selvatico e un tipo di aglio selvatico molto buono: allium triquetum (foto qui sotto)
 
 
E ora cuociamo tutta 'sta roba!
 
Ingredienti per 3/4 porzioni
 
1000-1200 g di erbe spontanee miste (oppure cavolo nero + bietole)
2 l d'acqua ca
1 cipolla grande (bionda o rossa  secondo il proprio gusto)
1 barattolo di pelati da 400 g
300 g di pane casalingo toscano posato
pecorino toscano dop media stagionatura qb
3-4 uova di categoria A da allevamento a terra o biologico
1 ciuffo di finocchietto selvatico
3-4 aglietti selvatici
olio evo Igp Toscano di carattere e gusto intenso qb
sale o "dado" vegetale casalingo (mix di sale/sedano/carota/cipolla/prezzemolo), pepe nero di mulinello e/o peperoncino jalapeño macinato
 
Lavate le erbe in abbondante acqua, con aggiunta di bicarbonato,  per purificarle da eventuali residui di terra. Tagliuzzatele. In una capiente casseruola, fate rosolare la cipolla affettata finemente in un paio di cucchiai d'olio,  aggiungete prima le erbe, fate insaporire, poi i pelati con tutto il loro succo, allungate con acqua calda, fate andare a pentola coperta e a fuoco dolce per ca 30 minuti aggiungendo di tanto in tanto altra acqua in modo da arrivare a fine cottura con una zuppa ben brodosa. (il brodo sarà poi assorbito dal pane). Regolate di sale o dado casalingo, assaggiando prima di aggiungere.
Tagliate a fette spesse il pane, tostatelo in forno e disponetene 2-3 fette per piatto.
Per le uova, si possono rompere direttamente nella zuppa bollente poco prima di versarla sul pane oppure cuocere a parte, lasciando il tuorlo semi-crudo, e poi disporle sopra alla zuppa. Io ho scelto l'opzione di cuocerle in camicia col trucco (for dummies)! 
 
 
 
Siamo al tocco finale: versate la zuppa ben calda ma non bollente sulle fette di pane, altrimenti il pane si cuoce troppo, posizionate sopra la zuppa un uovo in camicia per commensale, guarnite con l'aglietto tritato fresco e dei ciuffi di finocchietto selvatico, una macinata di pepe e/o peperoncino, una spolverata di pecorino passato alla grattugia con fori grandi e infine un giro d'olio evo a crudo.
 
E buon'acquacotta a tutti!

GRANDI PROSCIUTTI EUROPEI ALLE VETTOVAGLIE, LIVORNO

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Sono partiti in quinta gli amici di Alle Vettovaglie, la nuova realtà gourmet situata nella meravigliosa cornice dello storico Mercato Centrale di Livorno. Creata da tre esperti gourmet e sommelier  Fisar: Fabio Baroncini, Davide Cecio e Massimiliano Rovini, è stata inaugurata poco più di un mese fa, esattamente il 12 febbraio  e da subito ha attirato  l'interesse degli appassionati; inoltre, cosa non irrilevante, sono stati accolti con curiosità e slancio dai protagonisti storici che animano il verace mercato labronico e gli amici delle Vettovaglie, saggiamente, li hanno  coinvolti in attività di degustazione che si stanno susseguendo con ritmo serrato sin dalla prima settimana di apertura: dagli erborinati di Di Laghi, abbinati a grandi vini passiti e  whisky torbati, come raccontato dall'amica Enrica, Una cena con Enrica, ai caffè più rari di Drupa Caffè e i legumi con Marco del Pistoia di Slow Food,  fino alla più recente, a cui ho finalmente partecipato,  venerdì 18 marzo con i grandi prosciutti europei selezionati da Luca Benigni, titolare insieme alla sua famiglia del banco n 31: Da Carlo, dal 1967 un vero Angolo del Buongustaio.



Babbo Carlo e Luca fanno capolino dal loro banco di delizie da  intenditori. Una famiglia di entusiasti estimatori del buono che hanno fatto della qualità il loro fiore all'occhiello sin dal 1967.

Pronti per partire con la degustazione ma prima un'altra foto ricordo con Fabio Baroncini:

Oltre a congratularmi con gli amici delle Vettovaglie e con lo stesso Luca per la bella e sentita presentazione, per l'ottima organizzazione e per la straordinaria selezione dei prodotti in degustazione, voglio esprimere il mio compiacimento per la puntualità, cosa rara in queste situazioni!
Onorato il quarto d'ora accademico, per rispetto ai presenti, la degustazione ha avuto inizio e i ritardatari sono stati fatti accomodare ma senza rallentare l'andamento dell'incontro. Chapeau.


In senso orario:

Culatello di Zibello dop 24 mesi riserva del grande Spigaroli, Antica Corte Pallavicina, che dire? poesia pura, soave e soffice bontà per una partenza raffinata firmata da un nome leggendario, il fiore del prosciutto  affinato dal re degli affinatori.

Noir de Bigorre 30 mesi. Una sorpresa per la sottoscritta. Razza endemica allevata allo stato brado ai piedi dei Pirenei centrali francesi, poco produttiva perché ingrassa lentamente e quindi poco redditizia e inadatta agli allevamenti standard, stava per essere abbandonata, è stata recuperata da un gruppo di allevatori e salumieri illuminati che nel 1981 hanno salvato dall'estinzione uno sparuto gruppetto costituito da quattro maschi e due femmine di questa razza pura antichissima trasformandola in un prodotto di nicchia,  molto ricercato.
Polpa soda venata di grasso, gradevolmente sapida, aromatica e delicatamente erbacea con sentori di mandorla e retrogusto persistente dolce

Undok ungherese mandalico 34 mesi, affinato dai friulani Dok Dall'Ava. Se il noir è stato una sorpresa, questo un vero colpo di fulmine. La Mangalica (si legge magaliza) è una razza pura ungherese allevata dal 1700 nelle pianure magiare per 16 mesi. Per l'alto contenuto di acido oleico è paragonabile ai grandi prosciutti spagnoli.  Il gusto è dolce ma intenso con sentori di frutta secca, la consistenza è morbida, si scioglie letteralmente in bocca e la persistenza gustativa lunghissima.

I primi tre assaggi sono stati accompagnati da un insolito e gradevole  charmat lungo da uve verdicchio, Cuvée Tradition az Colonnara, recente scoperta di Fabio che sta andando letteralmente a ruba alle Vettovaglie, forte dell'ottimo rapporto prezzo qualità.


Non lesina nella mescita il simpatico e impeccabile promotore del Vagone del gusto, come lui stesso ha poeticamente definito l'angusto ma delizioso spazio dedicato a queste degustazioni,  e le bottiglie previste finiscono prima degli ultimi due assaggi ma ecco apparire un Cava, abbinamento territoriale conveniente al  successivo prosciutto, la Rolls Royce dei prosciutti, Mesdames et Messieurs: Sua Maestà Jamon Ibérico 100% de Bellota cinco jotas che al solo pronunciarlo si inizia a salivare. Denominazione ed etichettatura sancita da decreto reale spagnolo. Una prelibatezza selezionatissima da dipendenza  per cui bisogna mettere in conto una discreta cifretta ma noblesse oblige!
Un articolo molto utile per chiarire le idee sulla definizione Pata Negra spesso usata a sproposito QUI
Come il culatello di Zibello, conoscevo l'Iberico ed ogni volta che lo assaggio è un'emozione, dona una sensazione di completezza e di avvolgenza al palato con un gusto intenso, marcato dal caratteristico sentore di ghianda (tra la castagna e la mandorla)  moderato dalla dolcezza del suo meraviglioso grasso che, per l'alto contenuto di acido oleico, lo stesso contenuto nell'olio d'oliva, è considerato un grasso "buono".

Infine, la "sorpresa" completa il giro d'assaggi; si cambia registro e si torna in Italia con un prosciutto raro e particolarissimo di Scrofa senese stagionato senz'osso. Per Scrofa non si intende semplicemente la femmina del maiale ma è la femmina che ha appena partorito, le cui carni, sature di ormoni, sono particolarmente morbide e succose. Il gusto è concentrato e sapido, è più magro e asciutto e "tirato" rispetto agli altri prosciutti assaggiati, pronunciatamente  "toscano", scelto da Luca per onorare fieramente la sua regione.

Luca e Fabio ci spiegano che avrebbero voluto azzardare un prodotto diverso come chiusura, avevano pensato ad un prosciutto d'agnello (non sapevo neanche che esistesse) ma non se la sono sentita di osare tanto.
A fine degustazione non ho resistito e sono andata al banco di Luca e me ne sono fatta affettare un pochino da portare a casa insieme al mangalico da far assaggiare anche a mio marito. Effettivamente l'agnello è pazzesco, è magro e la consistenza ricorda un po' la bresaola ma al gusto l'agnello c'è tutto, veramente un boccone prelibato ma sono contenta che abbiano optato per la scrofa, era più adatta a chiudere il ciclo degustativo.


Luca gioca con i suoi preziosi cosci appesi e una considerazione mi sorge spontanea : ci si potrebbe divertire ancora per altre degustazioni  con le selezioni dei prosciutti:  gli altri italiani, i toscani o gli "altri" prosciutti, cioè cinghiale, cervo, oca, asino....c'è solo l'imbarazzo della scelta! E Luca annuisce e gli occhi gli brillano per la contentezza, pronto a fare i bis e il tris......

Inutile dire che anch'io non vedo l'ora e, in  attesa  delle prossime degustazioni, applausi agli artefici di questa piacevole e istruttiva merenda "crudista"!!

Alle Vettovaglie, banco n. 111  Mercato Centrale Livorno
info e prenotazioni 347 7487020
www.allevettovaglie.com








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