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LA TORTA DI MELE DI CLAUDIA RODEN PER I LOVE APPLE CAKE DI MAG ABOUT FOOD

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"Confortatemi con le mele" recita il titolo di un celebre romanzo di Ruth Reichl, una delle autrici apripista della letteratura gastronomica moderna. E cosa c'è di più confortante di una classica torta di mele? E' proprio alla torta di mele che il nostro Mag about Food di ottobre dedica la rubrica  "I love apple cake" con ricette d'autore per una classica irrinunciabile bontà!



A me è stata affidata l'interpretazione di una ricetta di torta di mele di influenza ashkenazita di Claudia Roden, autrice inglese di libri di cucina,  dal suo  "Il libro della cucina ebraica" 
Per scoprire la ricetta e tutte le altre interpretazioni della nostra rubrica, seguite questo link: I love apple cake  dal sito Mtchallenge. 

E confortatevi con le  mele! (meglio ancora se nelle torte) 



LA CUCINA DI ARDIT CURRI AL SAN MARTINO 26 DI SAN GIMIGNANO

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Su suggerimento dell' amico Claudio Mollo, fotografo e giornalista enogastronomico di lunga e consolidata esperienza, dopo che monitoravo e sbavavo da tempo, on line,  sui piatti di Ardit Curri del Ristorante San Martino 26 di San Gimignano, immortalati magistralmente proprio dal comune amico,  e non trovavo mai l'occasione giusta per andarci, decido finalmente di organizzarmi e di concedermi una bella gitarella nella splendida città delle torri, con consorte al seguito, per gustarmi  l'attraente cucina del giovane e talentuoso chef di origine albanese.

Ed eccoci in una tiepida giornata autunnale a percorrere la tortuosa strada volterrana e scendere giù fino a San Gimignano fra i vigneti multicolor e le iconiche colline della Toscana più classica e nota. Un piacere per la vista e per lo spirito ma pregustiamo anche il piacere per il palato, che ci aspetta a pranzo.

Il ristorante San Martino 26è ospitato in un palazzo storico in una viuzza del centro di San Gimignano, da cui prende il nome; l'interno presenta i tradizionali soffitti a volta e le pareti a mattoncini ed è arredato in modo elegante, l'accoglienza è calda e l'atmosfera rilassata, il sottofondo musicale di classe.

Al nostro arrivo, Ardit ci viene subito incontro e finalmente ci conosciamo di persona, dopo aver comunicato solo virtualmente. E' giovane ed entusiasta del suo lavoro, i suoi occhi brillano mentre ne parla, trasmette grande energia e vivacità intellettuale. Ci lascia dare un'occhiata all'invitante menu che conta svariate proposte che rendono difficoltosa la scelta ma so già che quello che uno chef ama sentirsi dire è "fai tu", gli diamo dunque carta bianca con delle indicazioni sulle nostre preferenze e lui ci accontenta offrendoci una memorabile carrellata di piatti  ben orchestrata e varia, annaffiata degnamente da altrettanti vini del territorio.
Gradevole, fresca e minerale la Vernaccia 2017 Fattoria di Fugnano, altrettanto piacevole ma più fruttato e pieno, dal bel colore buccia di cipolla,  il rosato bio dell'azienda San Donato che firma anche l'ottimo Chianti dei colli senesi 2015 Fiamma. Sul cinghiale viene "sacrificato" un Nobile di Montepulciano 2014 della Fattoria del Cerro e sul nobile pennuto un superbo Chianti classico riserva 2008 Castello di Lucignano. Si chiude in dolcezza con un bel vin santo Poderi del paradiso 2011.


Tra una portata e l'altra,  lo chef esce dalla  cucina, dove ha due aiuti, uno dei quali il fratello, si intrattiene volentieri con noi, ci chiede il nostro parere sui piatti assaggiati, ci racconta poco alla volta il suo percorso, svelando chiarezza di idee e piglio saldo, misti a piacevole freschezza e stimolante curiosità che ci colpiscono piacevolmente,  e disquisiamo insieme su croci e delizie della ristorazione odierna. Ovviamente non resisto alla tentazione di infilarmi in cucina per ritrarlo anche all'opera e mi stupisco che riesca a gestire  piatti così complessi in una cucina decisamente minuscola ma ben equipaggiata tecnologicamente. Tanto di cappello alla grande organizzazione del lavoro.


Classe 1987, nasce a Tirana, in Albania, da padre insegnante e madre farmacista. A 13 anni inizia a lavorare nella ristorazione e a 16 segue il fratello e si trasferisce in Italia dove si innamora definitivamente della cucina. Frequenta l'alberghiero a Cortona e nelle vacanze estive inizia il suo apprendistato nel ristorante Perucà di San Gimignano, con cui inizierà il suo percorso di crescita come chef, che lo porterà a prendere le redini  del San Martino 26, aperto nel 2014 con la stessa famiglia proprietaria del Perucà, a cui si lega anche affettivamente. Ma non si ferma mai, nei periodi di chiusura,  compie stage presso importanti cucine : al Konnubio di Firenze con la chef Beatrice Segoni,  all'Inkiostro di Parma con lo chef Terry Giacomello, fino ad un'esperienza nell'atelier della mitica Rive Gauche francese del celebre Joel Robouchon, tornando di nuovo a Tirana, dallo chef Bledar Kola del ristorante Mullixiu,  per riscoprire le sue origini culinarie. Nel prossimo futuro, ci anticipa, si arricchirà di conoscenza anche alla corte di René Retzepi del mitico  Noma di Copenhagen!

Ardit materializza tutte queste esperienze in una cucina tecnica e  ragionata, che attinge alle tradizioni territoriali toscane e anche del proprio paese, con l'aggiunta di quel tocco personale che la rende estremamente interessante e di carattere, gustosa e saporita ma garbata,  elegante ed impeccabile con brio!

 Gli "stuzzichini" o entrée che dir si voglia: cubo di zucca tostata, porcini e tartufo, fondo di carne,  un uovo ricreato con spuma di pecorino, tuorlo, crumble di parmigiano  e tartufo e un'inaspettata saporitissima pizzetta con acciughe, pomodori e crema di capperi (mi sa che c'è lo zampino del Mollo, gli avrà suggerito: infilaci un'acciuga da qualche parte!!). E l'inizio è già da ola! Ma la ola continua....

Chiamala zuppa!! una voluttuosa crema di castagne che cela una scaloppa di foie gras, pancetta,  castagne, sedano e briciole di pane in un gioco di armonie, contrasti di gusti e consistenze in equilibrio perfetto!


Quanto mi divertono le mille declinazioni dei fegatini toscani e questa è una da annoverare fra le migliori assaggiate: un friabile e delicato cannolo di pane racchiude una cremosa farcia di fegatini in cui avverto la delicata sfumatura di un vino dolce, accompagnata da una singolare e profumata salsa d'hybiscus, che con la sua piacevole acidità sgrassa perfettamente l'insieme, così come la mela verde e poi arriva ancora il dolce della gelatina di vin santo e infine il croccante e il gusto deciso delle grue di cacao. Uao Uao. Punto. 


Tortelli San Martino 26 - Pappa al pomodoro, lardo di cinta senese, crudo di gamberoni. Piatto emblema del locale e della sintesi culinaria dello chef! Seducente ed avvolgente connubio fra la più verace, saporita e classica Toscana di terra  che recupera il pane fino all'ultima briciola e la modaiola Versilia con le sue sontuose mazzancolle imperiali avvolte nel lardo. Per parafrasare una nota definizione di un nobile vino italiano: pugno di ferro in guanto di velluto!

Lo spaghetto stabilizzato, tra aglio, olio e peperoncino e burro e alici, con scampi crudi. Mi spiega lo chef che gli spaghetti sembrano integrali, invece prendono questa colorazione per la stabilizzazione in forno che li rende croccanti. In seguito, vengono cotti in acqua e infine mantecati in padella con aglio, olio e peperoncino, eccellente burro di Normandia che stempera la penetrante sapidità della colatura di alici di Cetara, a cui si aggiunge la dolce grassezza degli scampi. Al morso sembrano crudi ma in realtà sono al dente all'esterno come all'interno, grazie allo speciale trattamento. Un piatto che va spiegato, capito e poi digerito. Per intenditori. Da grande appassionata di colatura, mi sa che questa gliela rubo!! 

Delicati e commoventi questi fagottini di pasta fresca, ripieni del bollito di lingua e guancia che ad Ardit ricorda i piatti di casa, accompagnati dal brodo dello stesso bollito a cui si aggiunge, tadizionalmente,  anche la testina e qui si aggiunge il guizzo arditiano con una spruzzata di limone che se non ci fosse, ti mancherebbe; il tutto nappato da una spuma di pane che evoca il pane che si inzuppa nel brodo. Sarà anche la solita zuppa in Albania come in Toscana ma che finezza!


Un assaggio di maialino con la sua cotenna croccante perchè il consorte ne è goloso ma io non mi tiro indietro. Cotto a bassa temperatura come si conviene e accompagnato da divertenti salse e annessi e connessi: porro brasato e polvere di porro (che richiama il gusto della liquirizia), pomodorino confit, yogurt greco e balsamico ai fichi secchi, fondo di cottura, salsa di nocciole crude. Applausi!!


Un insolito cinghiale, presentato come un filet mignon, disossato, marinato, ricomposto e cotto in forno come un arrosto,  accompagnato da cipolle brasate, ciuffo di finocchietto selvatico  e un brodo delle stesse cipolle che inumidisce la carne magra ed asciutta del re della maremma, anche in questo caso, trattata magistralmente da Ardit.

Ed ecco infine il nobile pennuto che mi pregustavo dall'inizio. Adoro il piccione e mi diverto, quanto con i fegatini, a scoprire le innumerevoli variazioni sul tema che vanta molte scuole di pensiero e su cui si misurano con zelo  molti chef! Lo stesso Ardit mi confida che è una materia che lui tratta in vari modi, a seconda dell'estro del momento e secondo gli abbinamenti dettati dalla stagionalità. Qui troviamo un petto ingentilito da una marinatura nel latte e spezie, come mi spiega, cotto al sangue e avvolto in un fagottino di verza in accoppiata ad una scaloppa di foie gras. Completa il fagottino una cialda di pelle croccante del petto di piccione, una cremosa e sensuale salsa da dipendenza, composta dal fondo del piccione, nocciole,  foie gras e vin santo, uno spicchio di pannocchia abbrustolita e poi...sorpresa! arriva anche una coscetta ricostruita di piccione e fritta,  quasi un arancino, con la polpa della coscia disossata, ritagli vari e i suoi  fegatini! Intelligentemente non avevo ripulito i piatti precedenti e avevo lasciato un posticino per questa meraviglia che mi sono pappata e goduta interamente. Spettacolare, semplicemente spettacolare! Così come il Chianti classico riserva 2008 Castello di Lucignano che lo accompagnava alla perfezione

Dulcis in fundo, due assaggi di dolci, che confermano la maestria di Ardit anche nella pasticceria:

Strudel di mele. Oh yeah! Chiudete gli occhi, fate una boccata unica raccogliendo il sorbetto di mela, il cremoso alla cannella, la granella croccante di pasta matta e la salsa di uvette e che vi trovate in bocca se non uno strudel? Fantastico! Quando dalla teoria alla pratica non si perde nulla e le aspettative non vengono disattese come spesso succede nelle cosiddette "rivisitazioni". Questa funziona perfettamente!


Impeccabile il semifreddo composto da strati di classiche bontà al cioccolato bianco, gianduia e lampone, adagiati su un friabile biscotto di frolla, ravvivato dal tocco personale dello chef che rinfresca il tutto con perle di lime e foglie di melissa ed erba cedrina. 

E siamo arrivati davvero in fondo!! Pronti quindi per il caffè, non prima di cedere ad un bicchierino di strepitoso vin santo del 2011 Poderi del Paradiso, nomen omen, che sommato a tutti gli altri vini bevuti, mi fa uscire dal locale non propriamente lucida ma tanto felice!! Il consorte invece regge bene, per fortuna, tanto guida lui!

Ci congediamo dopo l'ultima piacevole chiacchierata con lo chef, ringraziandolo per la splendida esperienza e complimentandoci ancora per la sua bravura, e si son fatte le h 16!! Foto di rito insieme e via a smaltire un po' l'alcol e le cibarie,  a passeggio fra gli splendori di San Gimignano che incantano in ogni stagione. Bella la mia Toscana! 

ps: mi scuso per le foto indegne ma ho commesso l'errore di accontentare il consorte che non ama mettersi in vetrina e non ho potuto sfruttare la luce del tavolo accanto alla finestra che era l'unico punto con luce naturale corretta, non amando usare il flash 



CROSTATA ALL'OLIO CON CURD AL BERGAMOTTO

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E chissenefrega se fuori è tutto grigio, piove e fa freddo! In casa c'è questa torta dorata con le stelline, perfetta con un bel tè caldo!! Ma insomma, siamo in stagione, prima ci si lamentava che era troppo caldo, poi il buon Dio ci ha puniti perché ci lamentiamo troppo e ha scatenato una buriana devastante, ecco!! E' il primo novembre, è il tempo di Ognissanti e dei Defunti, un po' di freschino ci sta e la natura ha bisogno d'acqua (non di acquazzoni però..). Ricordo che da piccola, per i "Morti" si tirava fuori il cappotto e mio padre ha sempre mantenuto la tradizione anche quando capitavano dei primi di novembre tiepidi e mia sorella ed io  lo prendevamo in giro e ridevamo come matte!!

Amarcord e considerazioni sul meteo a parte, andiamo alla ricetta. Mi è venuta voglia di fare una crostata all'olio ispirata dall'arrivo dell'olio novo.  Questa però è fatta con l'olio dell'anno passato, quello nuovo è troppo forte e piccante. Parlo di quello toscano in particolare, ovviamente, ma ovunque l'olio extravergine d'oliva appena franto è più intenso, poi si addomestica col passare dei mesi.
Il curd al bergamotto è stato un po' alleggerito: anzichè solo uova, ho utilizzato meno uova delle dosi classiche del lemon curd e mi sono aiutata con  un addensante. Anche per la mantecatura finale si può utilizzare l'olio. Inoltre si può preparare con qualsiasi altro agrume, dosando lo zucchero a seconda dell'agro o dell'amaro. Ho optato per il bergamotto anzichè il solito limone perchè sono appena apparsi in commercio  i bergamotti e mi divertono molto in cucina sia nel salato, soprattutto col pesce, che nel dolce. Vedi TRE CRUDI E UN BERGAMOTTO  SCALOPPINE DI PESCE SPADA IN AGRODOLCE AL BERGAMOTTO e LA PERLA DI CALABRIA  e LA TORTA AL PROFUMO DI BERGAMOTTO DI ILARIA



Dosi per una teglia da 25-28 cm di diametro

Frolla all'olio
300 g di farina
90 g di zucchero semolato
120 ml d'olio extravergine d'oliva dal gusto fruttato delicato
1 uovo intero + 1 tuorlo
un pizzico di sale
scorza grattugiata di 1 limone(o bergamotto)  e un po' di succo

Curd al bergamotto
240 ml di succo di bergamotto di Calabria
300-350 g di zucchero semolato (da dosare in base all'agrume utilizzato)
2 tuorli + 1 uovo intero
scorza grattugiata di 1 bergamotto (o limone o arancia/mandarino/pompelmo...)
3 g di agar agar o pectina di mele
2 cucchiai di olio extravergine d'oliva o una generosa noce di burro

Mettere l'olio, lo zucchero e le uova in una terrina, sbattere bene con una frusta, si formerà una sorta di maionese. Aggiungere la scorza grattugiata di un limone, il pizzico di sale, un cucchiaio di succo di limone e infine  la farina, versata a pioggia attraverso un setaccio, incorporare mescolando vigorosamente con un cucchiaio. Quando l'impasto inizia ad essere consistente, trasferirlo su una spianatoia, finire di lavorarlo e formare una palla. Coprire con pellicola e mettere in frigorifero almeno un'ora, meglio se due o tre.

Passato il tempo di riposo, riprendere la pasta, lavorarla un poco, stenderla al matterello fra due fogli di carta da forno. Creare un disco appena più grande del diametro della teglia. Imburrare o oliare e infarinare la teglia, disporre il disco di pasta dentro la teglia aiutandosi con il foglio di carta da forno. Ritagliare i bordi in eccesso che si posso re-impastare e stendere per ottenere le stelline con un coppa biscotti (o altre forme o le classiche strisce). Ripiegare i bordi con i rebbi di una forchetta, schiacciando un poco. Bucherellare la pasta qua e là. Coprire con carta da forno e pesi da pasticceria o fagioli secchi/riso. Disporre le stelline su una piccola teglia. Cuocere in forno a 170-180° per 10' le stelline, 15' la torta, togliere la carta da forno e i pesi, togliere le stelline dal forno e completare la cottura del guscio di frolla per altri 5 minuti. Non deve cuocere molto, deve dorare appena.

Per il curd: mescolare le uova con lo zucchero e l'agar agar, diluire con il succo di bergamotto, unire la scorza grattugiata. Cuocere a bagno maria o direttamente sul fuoco a fiamma bassa fino a che inizierà a rapprendere. Filtrare attraverso un colino cinese e far raffreddare velocemente per qualche minuto  in una boule con ghiaccio, mantecare con l'olio o il burro e versarlo nel guscio di frolla quando è ancora fluido e intiepidito. Far rapprendere e infine decorare con le stelline o altre forme di pasta.






LA CUCINA DI ANTONELLO SARDI DALLA BOTTEGA DEL BUON CAFFE' ALLA BIENNALE ENOGASTRONOMICA DI FIRENZE

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Il nome del ristorante può essere ingannevole e fuorviante per chi non abbia voglia di googlare e scoprire tutto on line. E oggi, difficilmente si inciampa in un posto nuovo, senza aver prima preso debite informazioni e letto critiche e recensioni. Si scopre dunque che non si tratta di  una vera "bottega del caffè", o meglio, lo è stata, poi si è evoluta, come capita anche per tante enoteche:  prima il vino, in questo caso invece il caffè, e poi un po' di cucina e da lì ad evolversi in  un ristorante è un attimo. 
La bottega del buon caffè, da torrefazione e bar,  si trasforma infatti dapprima  in "bistrot" e in seguito, esattamente nel 2014, viene acquistata e rigenerata da una coppia di imprenditori danesi,  Janette e Claus Thottrup, dallo spiccato gusto estetico in quanto provenienti dal mondo dell'architettura e dell' interior design, che ne hanno fatto uno dei salotti più eleganti ma caldi e confortevoli della città. Ma non è la loro opera prima, La bottega del buon caffè, di secondo nome fa Borgo Santo Pietro in the City, cioè la "succursale" cittadina  dell' incantevole Hotel Borgo Santo Pietro di Chiusdino, Siena, un casale del XIII secolo che la coppia ha restaurato  e trasformato in un resort di lusso, inserito nella prestigiosa catena Relais&Chateaux. Il Resort è contornato da un vasto giardino che conta ben tremila piante, è dotato di una Spa  e anche di una fattoria biologia da cui provengono molti prodotti elaborati nella cucina dell'elegante ristorante del Relais, Meo Modo, affidato allo chef stellato Andrea Mattei così come a La bottega del buon caffè o Borgo Santo Pietro in the city

L'evoluzione della Bottega si è completata quando per tenere le fila di una brigata di ben otto elementi è  stato incaricato uno chef puntiglioso, determinato e tenace come Antonello Sardi,  premiato,  proprio nel 2014, con una stella della rossa più ambita nel mondo della ristorazione, la Michelin!
Classe 1980, è fiorentino doc, o forse docg, e ci tiene molto. Di quelli schietti e fieri delle proprie origini che ai figlioli prima insegnano a mangiare il panino col lampredotto e poi schiudono loro le porte della cucina più creativa, per capirsi! Eppure in tutto il materiale on line che ho consultato per studiare un po' il personaggio e la sua cucina, tranne che nella presentazione sul sito del ristorante, difficilmente questo dato emerge. Strano, forse lo si dà per scontato?

Dovendo condurre il suo cooking show, meglio chiamato "table chef", alla Biennale Enogastronomica  di Firenze,  il prossimo 16 novembre, mi sembrava d'uopo prepararmi e conoscerlo di persona e soprattutto assaporare la sua brillante cucina, che avevo avuto occasione solo di ammirare grazie alle foto dei piatti e agli articoli di amici giornalisti e blogger. Quindi lo contatto e mi prenoto anche il pranzo. Le mie frequentazioni normalmente sono più modeste ma ogni tanto una coccola di lusso ci si può concedere e poi sono quelle scorribande culinarie in solitaria che mi piacciono tanto!!

Arrivo all'appuntamento preparata, mi ero stampata e studiata un po' di materiale sullo chef e il suo percorso professionale.
Il nostro Antonello non sognava di fare il cuoco da piccolo,  ha avuto la chiamata per la cucina tardi; ha iniziato per necessità, quando ha lasciato il nido di mamma e si è reso autosufficiente, lavorando in un'azienda di audiovisivi, dopo essersi diplomato al liceo linguistico. Cucinare lo divertiva e si è appassionato al punto tale da lasciare un lavoro comodo per infilarsi in una cucina anche come lavapiatti pur di imparare. Anni di gavetta e duro lavoro non hanno scoraggiato il futuro chef stellato, anzi, gli hanno fornito delle basi solide, sperimentate sul campo, che gli sono state utili per gli step successivi che l'hanno visto diventare, prima, capo partita del noto locale fiorentino Fuor d'acqua, famoso per l'ottima cucina di mare in città,  per poi approdare al Devero di Enrico Bartolini. Quest'ultimo gli affida la conduzione dell'Osteria Perillà in Toscana e il Sardi sente già odore di casa, dove torna entrando dalla porta principale della Bottega del Buon Caffè in cui aveva già lavorato prima dell'avvento dei nordici.

Fatte le dovute presentazioni, rotto il ghiaccio, scambiate due battute e trovatici d'accordo su come condurre table chef alla Biennale Enogastronomica, si fa l'ora di pranzo e dal Lounge mi fanno accomodare nella bella sala del ristorante, attraverso il passaggio di servizio perchè fuori piove, cosa che mi diverte molto perchè approdo nel cuore della cucina dove creo non poca sorpresa.



L'ambiente è arredato con uno stile chic sobrio, caldo ed accogliente, è un invitante salotto con un tripudio di poltrone, divani e morbidi cuscini dai toni caldi. Scelgo uno strategico tavolo accanto alla vetrata così avrò una bella luce per le foto e mi godo lo spettacolo della cucina a vista. In un primo momento Antonello mi comunica che mi avrebbe affidata al suo staff perchè lui doveva fare la pasta! Quasi quasi ci rimango male "ma come? Mi abbandoni subito?" - sono sicuramente in buone mani ma non vedevo l'ora di immortalarlo all'opera però capisco le esigenze lavorative. "Va bene, una foto mentre impiatto e poi vado" e invece rimane fino al mitico piccione, poi al dessert ci pensera il valido pastry chef Giovanni di Giorgio. E io sono felice.

Apparecchio il mio bel tavolo panoramico con taccuino, cellulare e reflex, ma...noblesse oblige, mi viene offerto uno sgabellino, non solo per la borsa, anche per appoggiare tutti i miei arnesi, reflex compresa!
Le attenzioni di un ristorante di grande classe..il servizio è professionale e compito ma non eccessivamente ingessato e io mi godo tutte le attenzioni dei camerieri e annoto, fotografo, mi avvicino al pass per curiosare ed immortalare lo chef chino e concentratissimo mentre prepara i piatti con una precisione maniacale e una gestualità che denotano grande sicurezza.


E via si parte con la degustazione. Definisco solo il numero delle portate e poi mi affido a lui che mi fa assaggiare alcuni suoi cavalli di battaglia come il finto pomodoro, la crème brûlée di foie gras, le sue adorate paste ripiene e il nobile pennuto, il piccione,  di cui vado matta.

Avevamo appena disquisito sull'importanza del benvenuto o entrée, amuse bouche, stuzzichino, che dir si voglia. Qui lo chef si sbizzarrisce, scopre subito le sue carte, gioca con gli ingredienti e con le tecniche, indugiando anche verso il molecolare, cosa che evita nei piatti della carta. E' il suo biglietto da visita, è l'apri pista, deve incuriosire (non stupire a tutti i costi) e predisporre al seguito. Direi che l'obiettivo è stato centrato. Io sono moooooolto incuriosita e ben predisposta a continuare!!


Sul "sasso": una delicata mousse di carote all'anice stellato, ammantata di semi di sesamo e arricchita da mandorle e nocciole. Il finto pomodoro mi spiazza, l'avevo visto in foto ma non avevo letto come fosse composto, mi aspettavo una sferificazione di pomodoro, invece è una pallina di paté d'anatra ricoperto con una glassa all'acqua di pomodoro. Il picciolo è un vero picciolo! Il pomodorino poggia su una crema di cannellini con altri fagioli, gli zolfini e i dall'occhio, interi, al naturale e croccanti. in un gioco davvero divertente.
Nella scodellina una soffice spuma di patate profumata alla vaniglia, con scaglie di patate viola, tartufo e sale maldon. Oh yeah..


Il fragrante pane con farina di segale e cereali è fatto in casa, così come i grissini tirati a mano, e viene servito nei bei piatti artigianali con il logo del locale, accompagnato da un ottimo olio extravergine d'oliva monocultivar leccino toscano. Impossibile resitere a "pucciare" il pane nell'olio!


L'antipasto è di gran classe ed offre un  perfetto esercizio di stile: golosa crème brûlée di foie gras,  scioglievole e croccante insieme, pan brioche, sorbetto di cipolle rosse, crumble di fave di cacao e sfera rinfrescante di pera caramellata.


A seguire, lo chef mi propone due assaggi di pasta ripiena, la sua passione. Assisto incollata al pass alla preparazione di queste fantastiche "creste di gallo", ovvero dei tortelli di pasta fresca, ricchissima di tuorli (si vede dal colore!) a forma di cresta di gallo appunto, ripieni di cipolle quasi caramellate per via della cottura prolungata per ben quattro ore, come mi spiega il mio solerte e paziente cameriere, a cui spesso chiedo di ripetermi la sfilza di ingredienti perchè devo prendere appunti.


Le creste di gallo sintetizzano e confermano l'intento principale della cucina di Antonello Sardi, ovvero la riconoscibilità e l'esaltazione della materia prima protagonista del piatto, passando con disinvoltura dal foie gras alla cipolla. E la cipolla, protagonista del ripieno, è la regina di questo piatto complesso eppure perfettamente armonico, dove tutti gli altri ingredienti svolgono il ruolo di ancelle danzanti  tutt'intorno, offrendo il loro prezioso supporto e complemento: la crema di formaggio fiorito e quella di vin santo, le gocce di aceto balsamico di Borgo Santo Pietro, la polvere di caldarroste e il tocco da maestro che rinfresca l'insieme, la grattatina finale di lime. E io ne annuso rapita gli effluvi e mi godo il capolavoro pop (Oldani docet) da bis e tris!

Casualmente, abbiamo creato un abbinamento perfetto tra le creste di gallo alle cipolle e il Donna Olimpia Doc Bolgheri bianco 2016 , elegante, fresco, minerale e sapido.


I cappelletti di piccione con burro fuso di Normandia e timo.  Farcia ricca e concentrata, salsa vellutata e voluttuosa. Da ola. Punto.
E mi mostra pure come si fanno, a fine pranzo, nel laboratorio magazzino, dismessa la giacca d'ordinanza, in felpa ma con la stessa concentrazione e cura maniacale e rigore prussiano che mostra dalla finestra della cucina. Lui, chef stellato, che farcisce e chiude centinaia di cappelletti e gli piace un mondo!



Sembrano ditali da sarta, vero? 


Gran finale con il piccione presentato in tre parti, consistenze e sapori: il petto cotto magistralmente al sangue è disteso su una morbida crema di anacardi ed è cosparso da granella croccante degli stessi anacardi, la coscetta laccata al porto poggia su un cannolo verticale di spinaci rinfrescanti e piacevolmente "crunchy", completa il trio  una pralina di paté del suo fegato avvolta in granella di nocciole e contornata da un crumble di ritagli delle alucce.  Piatto da stella Michelin, appunto!

Bagnato egregiamente da un ottimo sangiovese toscano dalle raffinate note balsamiche: Anfiteatro, Igt 2013, Vecchie Terre di Montefili 


E poi si chiude in dolcezza naturalmente. Innanzitutto con un piccolo pre-dessert fresco e leggero a base di pere in  mousse, gel e torta


seguito dal dessert vero e proprio : un gioiellino di cheesecake ai frutti rossi, scomposto in pon pon di crema di formaggio, gel di frutti rossi, yogurt, sablé al cacao e vaniglia, ma che si ricompone velocemente raccogliendo tutto quanto con una bella cucchiaiata, inclusi i complementi rinfrescanti  come  il sorbetto e le gocce di mango e infine il tocco speciale del cocco rapé


Ma non è ancora finita, col caffè non vuoi farti due praline? anzi tre! una sfera all'aloe vera,  una pralina di cioccolato bianco alle nocciole con cuore di gianduia e un tartufino al tiramisù, quest'ultimo il mio preferito, pur non essendo fanatica del tiramisù.


Ironia della sorte, alla Bottega del buon caffè,  non ho immortalato il caffè!! Bisogna che ci torni...che dite? La prossima volta, tutto pesce, chef! Grazie della memorabile esperienza!!

Per chi volesse un assaggio della cucina di Antonello Sardi, l'appuntamento imperdibile è il secondo table chef della giornata di esordio della Biennale Enogastronomicavenerdì 16 novembre alle h 21 nell'Aula Magna del Padiglione Fureria di Fortezza Da Basso.

Il primo in programma sarà invece alle h 18 con il carismatico chef pescatore e cacciatore Luciano Zazzeri de La Pineta di Bibbona, amico di lunga data che avrò il piacere e l'onore di presentare in un cooking show per la prima volta!!

Nei giorni successivi altri grandi nomi della cucina italiana sfileranno alla Biennale come Roy Caceres, Peter Brunel, Gaetano Trovato, Andrea Mattei...

Info programma e prenotazioni : http://www.biennaleenogastronomica.it/table-chef/


LA MIA CACIO E PEPE E BERGAMOTTO PER L'MTC S-COOL

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Sbagliando si impara, non c'è dubbio. E con la cacio e pepe, è facile sbagliare, anzi facilissimo. E' una pasta apparentemente semplice ma molto insidiosa, con dei passaggi obbligati in cui se non si è precisi, non ci sono margini di recupero. Bisogna provare, provare e riprovare fino a che si acquisisce quella sensibilità e quel tempismo che ti fanno arrivare al giusto risultato.
Questa è la mia seconda prova e probabilmente non è ancora quella giusta ma non ho tempo per una terza e me la gioco così com'è, sperando nella sufficienza, per la nostra seconda lezione dell'Mtc S-cool ovvero LA COTTURA DELLA PASTA


Allora, ho letto e riletto tutti i trucchi e i segreti per la perfetta mantecatura della pasta nel post della nostra mitica Greta e mi sono guardata più volte il  bel video sulla pagina fb di Mtchallenge
Per la cacio e pepe, però, il vero problema per me è stato trovare un buon pecorino romano, cioè ben stagionato comme il faut. Temendo che fosse troppo giovane e facesse i fili, la prima volta ho esagerato col liquido e la pasta è rimasta bavosetta.


La seconda volta ho cambiato pecorino e mi sembra un pochino meglio a livello di cremosità ma aspetto il verdetto della maestra!!

Inoltre il mio twist, per esaltare la sapidità del pecorino era una grattugiata di lime. Nella seconda prova, il lime era finito, avevo il bergamotto, l'ho provato ed è stata una rivelazione. Ne basta poco però perchè ha un profumo molto intenso! Per quanto riguarda il pepe, ho usato un pepe meraviglioso, dal profumo molto intenso e piccante, il prezioso pepe nero Kampot, acquistato durante il nostro viaggio di agosto in Cambogia. Avrei voluto assecondare la nota agrumata anche con del Sechuan ma ho ritenuto che bastasse la scorza dell'agrume e lasciare più protagonista il pepe nero. 

Ingredienti per 2 persone:

180 g di spaghettoni di ottima qualità (io: spaghettoni di Gragnano Rummo n. 5)
60 g di Pecorino Romano DOP stagionato 12 mesi
Pepe nero in grani, pestato nel mortaio qb (il mio : pepe Kampot cambogiano)
+ twist personale: scorza grattugiata di bergamotto non trattato
sale grosso integrale, olio extravergine d'oliva fruttato, non troppo amaro, buon piccante

Attrezzatura:
1 pentola capiente per lessare la pasta
1 padella non antiaderente dai bordi stondati per mantecare la pasta (io in acciaio)
1 bastardella d'acciaio
1 pinza per alimenti
1 frusta
1 mestolo

Mezz'ora prima di cominciare a cucinare, tirare fuori dal frigo il Pecorino e grattugiarlo finemente: deve infatti essere a temperatura ambiente, per evitare che si raggrumi quando si prepara la crema.

Portare a bollore 2 l di acqua con 8 g di sale grosso (4 g per ogni l): il pecorino è infatti già molto salato, quindi la pasta deve essere lessata con poco sale.
Buttare gli spaghetti e attendere che si pieghino da soli affondando nell'acqua, senza costringerli, infine mescolarli un poco per non farli attaccare al fondo.



Mentre la pasta cuoce, preparare la crema di formaggio: versare il Pecorino nella bastardella e scioglierlo con l' acqua di cottura della pasta, versata poco per volta, mescolando con una frusta per evitare che si raggrumi. Aggiungere l'acqua poca per volta fino a ottenere una crema fluida, dalla consistenza simile a quella del miele liquido. Tenere la bastardella in caldo (io l'ho appoggiata su una pentola piena di acqua calda).



Mantecatura: tre minuti prima del tempo di cottura indicato sulla confezione, tirare fuori gli spaghetti con le pinze e metterli in padella insieme a un filo d'olio, al pepe pestato al momento nel mortaio (tenerne da parte un pizzicone per decorare i piatti) e ad acqua di cottura sufficiente a permettere di terminarne la cottura. La fiamma sotto la padella deve essere medio-alta e non va mai abbassata. Mantecare la pasta girando la padella in senso antiorario senza staccarla dal fornello (non deve perdere calore). Ruotare la pasta con le pinze, in questo modo l'acqua e l'olio si emulsioneranno, creando una cremina che avvolgerà  la pasta in modo uniforme.


Saltare la pasta fuori dal fuoco e lontano dal fornello caldo, aggiungere velocemente la crema di Pecorino e continuare a saltare la pasta velocemente inclinando la padella in avanti e imprimendole un movimento rotatorio del polso dal basso verso l'alto, facendo leva sul bordo.

Aggiungete il pizzicone di pepe tenuto da parte, una grattugiata di scorza di bergamotto (o limone/lime)  e servite immediatamente: la cacio e pepe non può attendere!



CROSTATINA CON FARINA DI CASTAGNE ALL'OLIO EXTRAVERGINE D'OLIVA E RICOTTA

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E niente...d'inverno mi prende la mania del dolcino della domenica, soprattutto dolci da forno, che si accende più volentieri che d'estate!
Il consorte le reclama e io cerco di accontentarlo, anche se a modo mio....mò vi spiego....
Seguo alcune  amiche blogger, fra cui, in principal modo,  Alice di Panelibrienuvole e Patrizia  di Andante con gusto, bravissime sfornatrici seriali di torte e altri dolci golosi, che sono contagiose sia per la copiosa produzione  che per le curate mise en place e le impeccabili foto accattivanti su cui sbavo inesorabilmente! E io prendo spunto qua e là, impegnandomi a costruire un minimo di set anzichè focalizzare l'attenzione al piatto nel mio stile iper minimalista.
Lo scorso anno, di questi tempi, mi ero anche accanita a comperare tante "caccavelle" nei mercatini o frugare fra i cassetti di mamma.
In questa relizzazione, per esempio,  finalmente utilizzo un piattino di peltro e delle forchettine estorte a mia mamma  con la motivazione ruffiana:  "ma dai tanto tu non le usi, stanno ad annerire nel cassetto, io almeno le  immortalo sul blog e ti rendo omaggio, no?"  (le rendo immortali sarebbe stato troppo presuntuoso!!) E invece anche nel mio cassetto stazionavano inutilizzate da tempo...
Inoltre, mi piace scattare la mattina abbastanza presto,  quando c'è una luce calda e mi diverto un po' con il controluce. Boh...insomma a me il risultato piace e non solo la foto ma anche la crostatina.

Anche qui mi sono impegnata dai...piattini rétro e tovaglietta vintage fatta dalla suocera, le solite forchettine della prima foto, zuccheriera e tazzine da caffè del servizio bòno!


Ma, oltre alla dolcino-della-domenica e photo-food mania, mi è presa anche la mania del dolcetto "senza", cioè  alleggerito, soprattutto di grassi, saturi in particolare,  e zuccheri che se si limitano è meglio. Ogni tanto faccio degli esperimenti dai risultati piuttosto discutibili ma il marito non si sgomenta, prende le fette dei miei dolci non dolci, se le spalma di miele o marmellata e gode lo stesso, come l'ultima torta "al risparmio" fatta con farina di mais che era praticamente una polentina gnucca e vagamente dolce ma che, opportunamente "truccata" come dice lui, si poteva pucciare nel tè e diventava accettabile! (ovviamente non l'ho immortalata nel blog)

Scherzi a parte, i dolci con l'olio extravergine d'oliva non sono una novità e ne ho diversi sul blog, incluse proprio delle crostatine con farina di castagne in una serie di  mutazioni di castagnaccio e ricotta 
Per il resto ho usato un dolcificante di sintesi, (orrore! lo so ma altre cose come la stevia o sciroppi vari non mi piacciono),  anzichè lo zucchero, sia per la crostata che per la crema di ricotta, una ricotta senza lattosio, (pure!) diluita con latte di riso. La farina di riso e la farina di castagne rendono il dolce anche senza glutine. Ma per carità, non sono una talebana! Sono solo esperimenti e comunque la prima regola è il buon senso e la moderazione nel consumo dei dolci "veri" o "truccati" che siano!
Arricchiscono la crostata ingredienti vuota dispensa ma che mi ispiravano: albicocche secche e noci pecan, golose, sane  e ricche di ottimi nutrienti oltre che adatte al mio dolce con la delicata acidità dell'albicocca e la nota dolce tostata delle pecan.  E infine, per completare, perchè all'assaggio, ho capito che ero stata un po' troppo parca in dolcezza, ho cosparso il tutto con  un filo di malto d'orzo a mo' di caramello, perchè quello offriva la dispensa! Niente male alla fine, niente male!


Per 3 tortine diametro 12 cm 

150 g di farina di riso
100 g di farina di castagne
120 g di olio extravergine d'oliva dal gusto fruttato delicato, poco amaro, piccante medio leggero
10 g di Dietor o 90 g di zucchero semolato finissimo
1 uovo intero + uno o due cucchiai d'acqua se  necessari
un pizzico di sale

Per la crema di ricotta
100 g di ricotta vaccina senza lattosio
20 ml di latte di riso
1/2 cucchiaino di Dietor o un cucchiaio di zucchero a velo

Per guarnire
noci pecan
albicocche secche
malto d'orzo fluido o miele di castagno
(opzionale: foglioline di timo fresco. le ho dimenticate ma secondo me ci starebbero benissimo)

Setacciare la farina di castagne un paio di volte, mescolarla con la farina di riso e un pizzico di sale fino.
Sbattere con una frusta le uova con l'olio e il dolcificante o lo zucchero e lavorare bene a crema, unire a pioggia a poco a poco le farine, incorporare mescolando continuamente. Quando inizia a diventare consistente, versare l'impasto su una spianatoia e lavorare con le mani fino ad ottenere una pasta liscia, compatta e abbastanza elastica. Se necessario, durante la lavorazione, unire un po' d'acqua fredda.
Avvolgere con una pellicola e lasciar riposare fuori dal frigorifero un'ora.

Ungere e infarinare gli stampi. Creare un salsicciotto con la pasta, dividerlo in tre parti uguali, formare delle palline e infine stenderle col matterello in un disco appena più largo degli stampi.
Foderare gli stampi con la pasta, bucherellare la superficie, coprire con carta da forno, inserire dei pesi e cuocere in bianco per 12-15' a 170-180° C. Togliere la carta, completare la cottura per altri 4-5 minuti. Sfornare, lasciar raffreddare e togliere dagli stampi.

Preparare la crema di ricotta, mescolando  la ricotta con il latte di riso e il dolcificante o zucchero (meglio se a velo per la crema). Farcire le crostatine ormai fredde con la crema di ricotta, guarnire con pezzetti di albicocche e noci pecan (eventualmente anche foglioline di timo fresco) e far colare a filo un po' di malto d'orzo (o miele di castagno)

NB: consiglio di mangiarle subito appena farcite altrimenti bisognerebbe conservarle in frigorifero per via della ricotta e si bagnano un po' e perdono di friabilità.



SBRISOLONA ALL'OLIO EXTRAVERGINE D'OLIVA, ARANCIA E ANICE

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Ops! E' di nuovo domenica ed è di nuovo dolce-mania e sempre a modo mio!!
Questo è proprio un dolce vuota dispensa. Avevo tre tuorli avanzati e si avvicinava la domenica. Niente cremine o maionesi, ci vuole il dolcino!
L'unico dubbio era soffice e croccante? Ha vinto il croccante.
Avevo anche un bel mix di frutta secca con mandorle, noci, pecan e nocciole e non ho potuto fare a meno di pensare alla sbrisolona.
Decido di farla con l'olio extravergine e con poco zucchero, inoltre mi diverto a profumarla con arancia e anice.
Non è venuta male, anche perchè la sbrisolona è una torta che ti salva sempre, anche se la sbagli, tanto si deve sbriciolare hahahahahaha



Per una teglia di cm 20

150 g di farina tipo 2
50 g di farina tipo 0 o farina di riso
50 g di farina di mais
3 tuorli di uova bio
90 g di zucchero di canna biondo
80 g di olio extravergine d'oliva profumato, con note speziate e di mandorla dolce, piccante e amaro leggero (leccino, pendolino, biancolilla, moresca..)
una generosa manciata di frutta secca a piacere (noci, nocciole, mandorle, pecan)
un cucchiaino di semi di anice sminuzzati
la scorza grattugiata di un'arancia non trattata e un po' di succo
un pizzico di sale fino


In una capiente terrina, lavorare bene con una frusta i tuorli e lo zucchero con l'olio fino a formare una crema, versare poco alla volta le farine mescolate e setacciate, il sale, la frutta secca tritata grossolanamente, le scorze d'arancia e i semi d'anice,  e continuare a lavorare con un cucchiaio, diluendo con un paio di cucchiai  di succo d'arancia,  fino a che si formeranno dei grossi bricioloni.
Versare i bricioloni in una teglia oliata e infarinata, compattarli in modo da coprire tutta la superficie della teglia. Eventualmente cospargere la superficie con altro zucchero. Cuocere in forno pre-riscaldato a 170-180° C  per 30-35 minuti.






BABA' SALATI CON PATE' DI FEGATO DI CONIGLIO E CIPOLLE CARAMELLATE

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Ecco uno dei due antipastini del mio Natale 2018. Non avevo previsto di immortalarli e pubblicarli sul blog, ho fatto solo un paio di foto al volo, sebbene con la reflex, perchè il consorte aveva forchetta e coltello in mano e scalpitava per assaggiarli!!
Non ho nenche curato proprio bene l'estetica ma insomma quel che conta è la sostanza e ora la descrivo perchè l'esperimento, tale era, è riuscito molto bene, soprattutto il babà, per la consistenza bella spugnosa come deve essere. 
Per quanto riguarda il paté, invece, è una ricetta collaudata, non avevo timori, ogni volta mi diverto a cambiare qualcosina, a volte il fegato stesso, giocando con faraona, pollo o coniglio, aggiungendo qualche spezia, la sfumatura di vini dolci diversi e soprattutto il supporto su cui spalmarlo: l'ho usato come farcia di bigné con tocchetti di pera caramellata, l'ho arricchito di frutta secca e fichi secchi e arrangiato a mo' di rocher, pralinato con granella di nocciole, oppure più piccolo, stile tartufino con granella di panettone ma anche  semplicemente spalmato su un classico pan brioche ma speziato. Questa volta ho usato il fegato di coniglio che trovo più raffinato del pollo (come anche quello di faraona), l'ho sfumato col marsala Vecchio Florio, quindi liquoroso ma con finale asciutto, secco, l'ho aromatizzato con un pizzico di cannella, chiodi di garofano e noce moscata e accompagnato con  cipolle caramellate, come lo serve l'amico chef Gaio Giannelli della Trattoria Pozzo di Bugia di Querceta, insieme a pan brioche che fa lui e che ci piace tantissimo ma il suo paté di fegatini è più classico toscano, piacevolissimo ma senza tanti fronzoli e soprattutto non frullato!

Versione tartufino pralinato con granella di panettone

La versione nel babà mi ha molto divertita e soddisfatta. Anzi, la trovo proprio  un'idea carinissima che replicherò anche con altre farce, magari in versione mignon, perfetta per un buffet festaiolo, e perché non proprio per l'imminente cena di San Silvestro?

I babà salati non sono certo una novità ma non li avevo mai considerati. Li ho ritrovati su un vecchio numero natalizio di Sale&Pepe, esattamente del 2016. La ricetta è semplificata rispetto alla canonica che prevede l'uso del pre-lievito ma è risultata efficace. La farcia, anche se sicuramente buona e soprattutto scenografica, è un po' banale con il salmone affumicato (che noia), mousse di caprino e germogli freschi a guarnire. La bagna è costituita da acqua, succo di limone e vodka.


Ed ecco la mia versione:



Ingredienti per 6 babà mono porzione
  stampini tronco-conici da 6 cm di diametro superiore, 4 cm diametro inferiore, altezza 6 cm

125 g di farina 0 manitoba
7,5 g di lievito di birra fresco o 2,5 di lievito secco granulare (io granulare)
1 uovo e 1/2 (tuorlo e albume= ca 75 g)
1/2 cucchiaio di zucchero semolato
1 pizzicotto di sale
40 g di burro (io ho usato la margarina all'olio extravergine) + altro per ungere gli stampi
Bagna: 2 parti di marsala e 1 di acqua

Per il paté di fegatini di coniglio
400 g di fegatini di coniglio
30 g di cipolla rossa
70-80 ml di marsala secco 
1 spicchio d'aglio rosa
1 foglia di alloro
2-3 foglie di erba salvia
1 noce di burro
un pizzico di cannella in polvere
un pizzico di noce moscata grattugiata
sale e pepe nero di mulinello
salsa worchester qb
olio evo

Per le cipolle caramellate
100 g di cipolle rosse tipo Tropea
2 cucchiai di zucchero semolato bianco o di canna biondo
50 ml di aceto balsamico
acqua qb
1/2 cucchiaino di sale
2-3 chodi di garofano

Ciuffi di finocchietto selvatico fresco per guarnire


Per i babà: mescolate in una ciotola la farina con lo zucchero e il sale. Unitevi il lievito sciolto in una cucchiaiata d'acqua tiepida e le uova sbattute. Impastate vigorosamente con un cucchiaio per 5-6 minuti, oppure lavorate la pasta nell'impastatrice col gancio apposito. (io ho usato l'impastatrice perchè l'impasto è molto appiccicoso). Incorporate il burro morbido poco alla volta. Coprite l'impasto con un canovaccio e fate lievitare fino al raddoppio.
Sgonfiate l'impasto e distribuitelo  in piccole porzioni negli stampini ben unti di burro, in modo da riempirli fino a metà. Coprite e fate lievitare fino a che la pasta riempia completamente gli stampi e tenda a fuoriuscire (nella descrizione della rivista si dice fino ai bordi ma per avere un bel cappello devono debordare un poco anche prima della cottura, cosa che io invece ho dimenticato e si vede). Preriscaldate il forno a 180 ° C e cuocete per 15-20 minuti (a seconda delle dimensioni). Meglio se si preparano il giorno prima. 

Va beh...uno non è venuto tanto bello gonfio ma pace :-)

Per la bagna : mescolate 200 ml d'acqua con 400 ml di  marsala, portate quasi a bollore, spegnete, lasciate intiepidire e infine intingete i babà fino a che si saranno ben impregnati, poi strizzateli e metteteli a testa in giù su una gratella per far colare l'eccesso di liquido. 

Per il paté :  mondate i fegatini, lasciateli a bagno in acqua fredda  a spurgare un po' di sangue, tagliateli a pezzetti. Fate rosolare in una padella le cipolle affettate finemente e l'aglio spremuto nello spremi aglio con un po' d'olio, una foglia di alloro spezzata e le foglie di salvia. Unite i fegatini, fate andare a fiamma vivace, sfumate con marsala, unite le spezie, spruzzate con un po' di salsa worchester, regolate di sale e pepe e portate a cottura aggiungendo via via del brodo di verdura o carne (io quello di gallina). 
Fate raffreddare, rimuovete salvia e alloro e infine frullate con una generosa noce di burro.

Per le cipolle caramellate : cuocete le cipolle affettate non finissime con l'aceto, lo zucchero,  il sale e i chiodi di garofano inseriti in una garza. Aggiungete anche un poco d'acqua e portate a cottura fino a quando si formerà una salsa densa, quasi una confettura di cipolle. Rimuovete la garza con i chiodi di garofano. 

Al momento di servire, intiepidite un poco i babà (20-30 sec nel microonde, giusto per portarli a temperatura ambiente) incideteli nel senso della lunghezza, scaldate anche il paté, inseritelo tiepido in una tasca da pasticceria e farcite velocemente i babà, completate con le cipolle caramellate (a temperatura ambiente o tiepide anch'esse) e guarnite con un ciuffetto di finocchietto selvatico. E buon divertimento!!

Il vino, uno splendido syrah della Valle del Rodano, Côte Rôtie Côte Brune 2008  Domaine Gilles Barge, Ampuis   era pensato più per il piatto forte a base di stracotto di manzo speziato al vino rosso ma ha accompagnato egregiamente  tutto il pasto, inclusi questi babà. Fine, elegantemente speziato, con note balsamiche amaricanti, eucalipto su tutte ma anche note terrose, minerali, di roccia arsa dal sole, decisamente Rôtieoui!! Ultima bottiglia superstite di un bellissimo viaggio nella Valle del Rodano fatto nel 2011. Il mio reportage completo :1a parte e 2a parte




SUA MAESTA' IL RISOTTO ALLA PARMIGIANA PER L'MTC S-COOL

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Dopo le vacanze natalizie, si riprende la scuola! La nostra scuola speciale, la più figa del web, l'Mtc S-cool! E dopo un mostro sacro come la cacio e pepe, siamo alle prese con un altro mostro sacro nella famiglia dei primi piatti asciutti, sua maestà il RISOTTO


Lo ammetto, e non è la prima volta che lo dichiaro, sono una milanese degenere, e non semplicemente perché abbia tradito la "Padania" trasferendomi nel "Granducato di Toscana", bensì perché sono una schiappa nei risotti e non li faccio quasi mai, il che non fa che peggiorare la situazione e quando mi capita di confrontarmi con tale preparazione, mi prende l'ansia da prestazione, figurarsi per la prova dell'Mtc S-cool dove la docente è niente meno che Giuliana Fabris, del blog La Gallina Vintage, che in materia di risotti, e tanto altro, è una grande maestra, se non artista!! Ma anche le luogotenenti della maestra non sono da meno a livello di conoscenza e tecnica, vedi Mapi, La Apple Pie di Mary Pie e Greta, che ormai diserta il suo blog per dedicarsi interamente alla redazione Mtchallenge

"Il risotto non è un piatto da preparare seguendo pedissequamente una ricetta ma è come un rito da officiare nella più rigorosa ortodossia. Ci vuole pazienza, dedizione e amore. Dobbiamo pertanto entrare nello spirito adatto e non lasciare nulla al caso"
Cito l'incipit delle dispense forniteci che spiegano i fondamentali e i trucchetti per preparare un risotto perfetto! E allora, ho letto, riletto, guardato il video, deciso il giorno, preparato tutto l'occorrente, ho capito dove commettevo errori, in primis la padella non adeguata! Ho ri-tirato fuori una casseruola di alluminio che avevo stipato nel sottotetto in mansarda perché ho avuto spiacevoli esperienze con l'alluminio, tipo rovinare una pasta perchè non ho saputo gestire la mantecatura e mi si è attaccato tutto ed avevo  otto persone a tavola in attesa!!! Da quella volta sono diffidente nei confronti dell'alluminio, però  questa occasione  mi ha fatto rammentare il risotto di mammà, la sua pentolaccia d'alluminio e come le veniva bene!!! Bene, entrata nello spirito, pronti...via!!!

La prova di riscaldamento è sul risotto classico alla parmigiana. Pura tecnica ed equilibrio. Nessun guizzo creativo, quello è destinato al risotto allo zafferano, in cui ci possiamo invece sbizzarrire, per la seconda prova, quella creativa.

Il mio riscaldamento è stato lungo, ho fatto ben quattro prove  di risotto alla parmigiana ma alla fine penso di aver capito quanto bisogna tostare il riso, quanto bagnato bisogna lasciarlo e quanto bisogna aspettare prima della mantecatura e soprattutto quanto e come bisogna mantecarlo!

Per quanto riguarda gli ingredienti, per onorare la Signora Vintage, e per fare un super risotto, ho usato dei super ingredienti! Il riso viene dal Delta del Po visitato ad ottobre, la carne proveniente da allevamenti di qualità, bio e grass feed;  burro e parmigiano d'eccellenza, penso che l'etichetta Vacche Rosse non abbia bisogno di presentazione, è la Rolls Royce del Parmigiano (link al sito nella lista degli ingredienti)
La cipolla di Roscoff è un recente acquisto, trovata semplicemente al supermercato e mi ha incuriosito molto. E' rosata, dolce e fruttata ma di carattere.


Per quanto riguarda il vino, l'altra sera abbiamo stappato un Ferrari Brut che era rimasto dai regali di Natale e ho pensato subito di utilizzarlo per il risotto. Uno spumante base di un'azienda che è un fiore all'occhiello della spumantistica italiana,  un Doc Trento, metodo classico, dall'ottimo rapporto prezzo qualità, meglio di tanti spumanti blasonati e sovrastimati. Ha conferito al risotto una sfumatura agrumata deliziosa. (e ne è avanzato ancora un bel bicchiere che ce lo siamo bevuto insieme al risotto!!)

Per le prime prove avevo curato anche la mise en place, non potevo esimermi dall' onorare l'amica vintage con suppellettili adeguate: notare la tovaglietta vintage, a dire il vero un tovagliolo della tovaglia del mio corredo, usata forse tre volte; il piatto vintage, unico superstite di un servizio della mamma, anni '60; forchetta molto vintage, quella era della mamma di mia mamma! Unico intruso il sottopiatto :-)

PS: a casa mia il risotto si mangia nella fondina, vintage pure questo!!

IL MIO RISOTTO ALLA PARMIGIANA

La prima prova è vergognosa, non la pubblico per decenza!

2a prova, troppo lento, mantecatura non ancora perfetta...

3a prova, idem come sopra, ma mi stavo avvicinando

4a prova, forse ci sono, e amen per la mise en place...


Ingredienti per 2 persone

160 g di riso superfino carnaroli del delta del Po Igp  (Az. Zangirolami, Fe)
500-600* ml di brodo di carne bovina italiana bio "grass feed"
50 ml di spumante brut (Ferrari Trento Doc metodo classico)
40 g di cipolla rosata "oignon Aop de Roscoff, Bretagne" 
30 g di burro di Vacche Rosse + una piccola noce (10 g ca)
20 g di parmigiano reggiano Vacche Rosse 36 mesi 
sale fino qb


* per il brodo ho seguito le indicazioni delle dispense sul brodo classico di carne, utilizzando un pezzo da brodo con osso. Odori classici: sedano, carote, cipolla steccata con chiodi di garofano, qualche rametto di prezzemolo, una foglia di alloro, qualche granello di pepe nero.

Ho ridotto le quantità di riso rispetto alla ricetta di Giuliana, che prevede 100 g a testa,  e ho adeguato in proporzione tutto il resto. Ho trovato tutto ben equilibrato per un risultato gustoso ed elegante non eccessivamente carico di grassi. Il mio risotto ha richiestosolo più brodo di quanto indicato, per fortuna ne ho preparato in abbondanza.

Esecuzione :

Tritate finemente a coltello la cipolla e preparate il soffritto mettendola a rosolare in una piccola padella con la noce di burro. Lasciatela cuocere mescolando e facendo attenzione che non brunisca. Tenete da parte.
Portate a ebollizione leggera il brodo e salatelo.
In una larga casseruola, di rame o di alluminio anodizzato, a fuoco medio-alto, fondete 10 grammi del burro previsto. Quando inizia ad essere spumeggiante versate il riso nella pentola, mescolate continuamente fino a quando il riso “canterà” e diventerà opalescente, translucido.

Ora sfumate con il vino, mescolate fino a completa evaporazione dell’alcol poi iniziate la cottura aggiungendo poco brodo bollente per volta, continuando a mescolare.

A questo punto unite anche il soffritto preparato in precedenza e continuate così, aggiungendo brodo man mano che viene assorbito.

Assaggiate per controllare la cottura e modulate l’aggiunta di liquido, tenendo presente che il risotto dovrà riposare almeno un paio di minuti per essere mantecato e che comunque, per effetto del calore residuo, continuerà a cuocere. Una volta pronto spegnete il fuoco, spostate la casseruola dal fornello, regolate di sale e iniziate a mantecare aggiungendo il parmigiano reggiano grattugiato e il burro rimasto, freddissimo.

Mescolate con energia e allo stesso tempo scuotete la casseruola imprimendole un movimento avanti-indietro. Continuate fino a quando il riso sarà diventato cremoso e morbido.

Servite subito.

RISOTTO ALLO ZAFFERANO CON ESSENZA DI OSSOBUCO

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ALLA RICERCA DELLA MANTECATURA PERFETTA!!

In cucina, come nella moda, nell'arte e in tutto ciò che vi  ruota intorno,  è un continuo susseguirsi di cicli e di tendenze.  Nascono tormentoni che ci perseguitano, a volte per brevi, a volte per lunghi periodi ma sempre con un'insistenza martellante come il ritmo  di una house music.
Dove voglio arrivare con questa premessa? al tormentone del momento! E che altro?
Dalla seconda lezione della nostra Mtc S-cool, nata in seno alla grande famiglia di Mtchallenge , la parola d'ordine, il mantra ossessivo, l'incubo nelle nostre cucine  è la MAN-TE-CA-TU-RA!
Letta proprio così, scandendo le sillabe come la nonna de Il Postino che pronunciava sgomenta la parola a lei sconosciuta  ME-TA-FO-RE al prete della minuscola isola di Procida, credendola opera del Demonio!
Ok, non esageriamo. Mantechiamo zelantemente e facciamola breve,  che la ricetta che vado a pubblicare è lunghetta...


La prima prova della terza lezione della nostra scuola, puramente tecnica sul risotto alla parmigiana serviva ad esercitarci per poi esprimerci in modo più creativo sulla base di un risotto allo zafferano. Ho espresso nel mio precedente post tutte le mie ansie e il mio rapporto conflittuale con il risotto, ho fatto quattro tentativi, al quarto penso di poter ottenere la sufficienza ma so che non è ancora perfetto. Quindi confido in questo:

IL MIO RISOTTO ALLO ZAFFERANO CON ESSENZA DI OSSOBUCO

Per il mio risotto allo zafferano con essenza di ossobuco ho preso spunto da un piatto assaggiato ai primi dell'anno al ristorante Il Marin di Genova, chef Marco Visciola, che non si smentisce mai per creatività e tecnica e soprattutto perchè non tradisce le aspettative tra quello che annuncia nel menu e quello che ti trovi nel piatto. Non è cosa da poco....Lo chef aveva fatto un bel mix Milano-Sanremo: bottoni di pasta fresca farciti con prescinsoea e zafferano su carpaccio di vitello, il tutto guarnito con crudo di gamberi rosa di Sanremo, salsa gremolada e midollo piastrato.

Ho rubato l'idea del crudo, anzi ho chiesto pure consiglio a Marco Visciola sulla gestione dello stesso perché avevo alcuni dubbi, ma il mio risotto è milanese fino al...midollo, passatemi il termine!! Il livornese a questo giro lo lascio da parte anche se in molti si aspettavano un risotto allo zafferano livornesizzato. Ho voluto  onorare l'amica milanese (seppur di origini friuliane) Giuliana, Nostra Signora dei Risotti, conosciuta anche come  la signora vintage, e la mia terra al 100%. Inoltre, è un'attività che mi stimola molto quella di reinterpretare i grandi classici senza stravolgerli troppo nella loro essenza, utilizzando cioè gli stessi ingredienti ma in diverse consistenze e/o forme e presentazioni (altro tormentone contemporaneo)

E niente, eccolo:


Risotto allo zafferano mantecato con fondo di cottura di ossobuco, pre-gremolada, carpaccio di ossobuco di vitello, salsa gremolada, osso con midollo*, polvere di cipolla bruciata

* questo è una coccola che mi sono voluta concedere perché da bambina impazzivo per gli ossibuchi, mi centellinavo ogni boccone, pucciavo la salsina con gusto e da ultimo mi godevo un modo il momento del risucchio del midollo direttamente dall'osso!! Quindi, qui vade retro midollo piastrato fighetto, ma dentro nel suo osso, oh yeah!

Ingredienti per 2 persone

per gli ossibuchi in gremolada
2 ossibuchi di vitello  400-450 g  ca
50 g di cipolla bionda o scalogno
50 ml di vino bianco secco
burro e olio evo qb
1 spicchio d'aglio rosa
1 limone non trattato
1 mazzetto di prezzemolo fresco
brodo di carne qb
farina 0 qb
sale, pepe

per il carpaccio di ossobuco di vitello
1 ossobuco di vitello 200 g ca
sale grosso
zucchero semolato
olio evo
succo di limone


per il risotto allo zafferano
160 g di riso carnaroli Acquerello 1 anno
500-600 ml di brodo di carne
50 ml di vino bianco secco (guarda un po'...avevo un friulano che poi ho bevuto col risotto naturalmente :-)
40 g di cipolla dorata o scalogno
30 g (10+20) di burro di ottima qualità + 10 g per la cipolla
20 g di parmigiano reggiano 24 mesi
mezzo cucchiaino di pistilli di zafferano Monastero di Siloe (0,05 g ca)
1 cucchiaio del fondo di cottura degli ossibuchi, prima della gremolada
sale qb

(per il brodo di carne classico: carne di manzo con osso e odori misti: sedano, carota, cipolla steccata con chiodi di garofano, prezzemolo, alloro, pepe nero in grani)

per la polvere di cipolla bruciata
1 cipolla bionda media (80 g ca) essiccata in forno a 100-120° C fino a che diventa ben brunita e accenna a bruciacchiare e infine tritata. Non è completamente bruciata altrimenti prende aromi pronunciati di torrefazione e liquirizia che sarebbero stati eccessivi su questo piatto ma che con lo zafferano da solo starebbero comunque benissimo. In questo risotto è puro vezzo modernista ma non bruciando la cipolla completamente, mantiene la sua essenza di cipolla e rimanda alla sua rosolatura più verace e tradizionale nella preparazione del risotto, senza però appesantire la digestione.

Prima operazione: mettere a macerare i pistilli di zafferano in 30-40 ml di brodo a temperatura ambiente per almeno 3-4 h

Prepariamo  il carpaccio di vitello di ossobuco. Grazie al suggerimento dello chef, ho fatto marinare la carne, ben privata di tutto il grasso e le venature non gradite, con un mix di sale grosso e zucchero in parti uguali per un paio d'ore, tenendola in frigorifero. Lo spessore della fetta era di circa 1,5 cm.  Più è alto lo spessore più lunga dovrà essere la marinatura che intenerisce ed insaporisce la carne.
Infine ho asciugato la carne dalla marinata e con un coltellino molto affilato, ho ricavato delle fettine che poi ho anche battuto molto sottili con un batticarne, e condito con un filo d'olio e una spruzzatina di succo di limone. Quest'ultimo passaggio, poco prima di avviare il risotto.


E vai con l'ossobuco vero! Mentre lo facevo, mi sono ricordata tante cose, in primis, le imprecazioni di mia mamma che puntualmente si dimenticava di tagliuzzare con le forbici i bordi della carne avvolti dal tessuto connettivo. Senza questo passaggio infatti, cuocendo, gli ossibuchi si accartocciano su se stessi e vi sfido a farli cuocere così!!!  E ho sbagliato pure io, poco male, quando mi sono accorta, li ho prontamente tagliuzzati dentro la padella :-)
Ma partiamo dall'inizio. Tagliuzziamo i bordi della carne, passiamoli nella farina. Facciamo rosolare la cipolla tritata in un po' d'olio e burro, poi togliamola  e mettiamola da parte.
Nella stessa padella dove abbiamo rosolato la cipolla facciamo dorare da ogni lato l'ossobuco in modo da formare una bella crosticina dorata. Sfumiamo col vino bianco, copriamo con un po' di brodo, uniamo la cipolla e facciamo andare lentamente per un'ora o più, a seconda dello spessore delle fette di carne, unendo via via altro brodo in modo da arrivare verso la fine con un sughetto piuttosto bagnato.
A pochi minuti dalla fine della cottura, preleviamo una bella cucchiaiata di fondo di cottura e mettiamola da parte per il risotto. Uniamo un trito di aglio (io lo passo nello spremi aglio) buccia di limone e prezzemolo, ovvero la gremolada e facciamo andare ancora qualche minuto per far restringere il sughetto. Mia mamma ci metteva anche una spruzzatina di succo di limone, non l'ho fatto e ho avvertito la differenza :-) E l'ossobuco è pronto. Preleviamo infine l'osso con il midollo e  teniamo in caldo. Mettiamo da parte la carne per un altro pasto, si può sempre accompagnare  con un puré o fare il bis di risotto ;-)

Avviamo il risotto: tritate finemente a coltello la cipolla e preparate il soffritto mettendola a rosolare in una piccola padella con la noce di burro. Lasciatela cuocere mescolando e facendo attenzione che non brunisca. Tenete da parte.
Portate a ebollizione leggera il brodo.
In una larga casseruola, di rame o di alluminio anodizzato, a fuoco medio-alto, fondete 10 grammi del  burro previsto. Quando inizia ad essere spumeggiante versate il riso nella pentola, mescolate continuamente fino a quando il riso “canterà” e diventerà opalescente, translucido.

Ora sfumate con il vino, mescolate fino a completa evaporazione dell’alcol poi iniziate la cottura aggiungendo poco brodo bollente per volta, continuando a mescolare.
A questo punto unite anche il soffritto preparato in precedenza e continuate così, aggiungendo brodo man mano che viene assorbito.
Assaggiate per controllare la cottura, regolate di sale e modulate l’aggiunta di liquido, tenendo presente che il risotto dovrà riposare almeno un paio di minuti per essere mantecato e che comunque, per effetto del calore residuo, continuerà a cuocere. Verso fine cottura unite il brodo allo zafferano, filtrando i pistilli attraverso un colino. Una volta pronto spegnete il fuoco, spostate la casseruola dal fornello, unite anche il fondo di cottura dell'ossobuco e iniziate a mantecare aggiungendo il parmigiano reggiano grattugiato e il burro rimasto, freddissimo (passatelo pure nel freezer).

Impiattate il risotto e velocemente guarnitelo con l'osso e il suo midollo nel centro, disponete qualche fettina di carpaccio intorno, condite  con la salsa gremolada e cospargete con un pizzico di cipolla bruciata



AGNELLO BURRO E ACCIUGHE PER MAG ABOUT FOOD M'EAT DI APRILE

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Quando Mari mi ha proposto questa ricetta di agnello burro e acciughe per la rubrica M'EAT di aprile del nostro magazine on line Mag About Food, che ha come protagonista l'indiscusso principe delle tavole Pasquali, l'agnello, nonostante l'acciuga avesse attirato la mia attenzione, ero un po' scettica o meglio non sapevo cosa aspettarmi da quell'insolito connubio. Era un gioco di equilibri non facile. Non mi spaventano le sperimentazioni e quindi: pronti, partenza, via!!

AGNELLO BURRO E ACCIUGHE

La ricetta dettagliata del mio agnello burro e acciughe la trovate a questo link M'EAT : AGNELLO SUPERSTAR con tante altre ricette d'agnello realizzate da altrettante amiche blogger.


Devo dire che il risultato ha superato le aspettative. Mentre trascrivevo la ricetta, mi sono accorta che distrattamente, non avevo interpretato alla lettera le indicazioni fornitemi e l'aglio, anzichè nelle patate del contorno, come prescritto,  l'ho tritato e amalgamato insieme al burro ammorbidito e alle acciughe con cui ho spalmato generosamente tutta la carne, la quale, essendo incisa in più parti, si è impregnata meravigliosamente del condimento. Anche le patate e le cipolle comunque hanno assorbito tutti i profumi e gli aromi in cottura e ne hanno giovato abbondantemente, come l'agnello!
In conclusione un piatto sorprendentemente equilibrato e aromatico dove burro, aglio e acciughe sottolineano, anzi esaltano ed intensificano il gusto caratteristico dell'agnello. Provare per credere. Vi stupirà!! La ricetta dell'agnello burro e acciughequi 



TATIN DI ALBICOCCHE E TIMO AL LIMONE

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Ops! Mi è scappato un dolce! Un dolce che è tutto un programma ma con la tatin ci si salva sempre! E' una torta che nasce sbagliata!
Mi sta troppo simpatica, è più di una torta, è una metafora della vita.
Non credo di esagerare facendo un tale paragone. Non nasce da un errore? da un mezzo disastro? eppure è stata "venduta" come torta rovesciata ed ha riscosso il successo che tutti conosciamo.
In altre parole, dietro ad ogni crisi, ad ogni momento negativo, ad ogni errore si nascondono opportunità impensate, sicuramente possibilità di imparare e di migliorare, ma  a volte succede che una grande scoperta nasca proprio da uno sbaglio e dal caso!
Lo dice anche il proverbio: non tutto il male vien per nuocere..

La mia tatin è nata proprio da un bel pastrocchio, ha una storia buffa ma alla fine è venuta buona, questo è quello che conta, ed esteticamente accettabile, sembra una tatin in piena regola, no?

Tutta colpa dei nostri vicini che non vengono mai nella loro casa del mare, che è proprio sotto il nostro appartamento,  e abbandonano l'albero di albicocche del loro giardino,  e queste cadono inesorabilmente a terra. Non si può certo sciupare la frutta che hai la fortuna di avere sotto casa, a cm zero!!
E' già qualche giorno che facciamo scorpacciate di albicocche e ieri mi è venuto lo schiribizzo di farci un dolce, è veramente tanto tempo che non inforno, c'era una bella ventilazione, si poteva fare
Accendo il forno e...sorpresa! Il forno è morto!  Non mi sgomento, ormai sono determinata, posso  cuocerla nel microonde!! Ok, riproviamo il dolce nel microonde, l'avevo fatto in passato e tiro fuori la ricetta. Controllo cosa offre la dispensa, ho delle bustine con un surrogato delle uova che mi mancano, sacchettini di ogni tipo prossimi alla scadenza, in frigo  una bottiglia di latte aperta che rischiava di andare a male..insomma svuoto bottigliette e sacchettini di farina mista, zucchero di cocco e lievito istantaneo e opto per una torta soffice, tipo torta di mele ma con le albicocche.
Però strada facendo cambio idea e faccio caramellare le albicocche, le metto sul fondo della teglia, pensando appunto ad una torta rovesciata,  ma insisto nell'impasto soffice, non propriamente da tatin. Infatti mi viene una mezza frittata perchè poi il nuovo microonde non è funzionale come il vecchio che mi si è fulminato un mese fa e ancora non riesco a gestirlo al meglio. Sicchè vado di colpetti di 3-4 minuti alla volta fino a che non mi sembra ben cotta e la conferma la dà la prova stecchino,  infine esulto, mi sembra ok! La sforno, la rovescio e la faccio gratinare ancora un paio di minuti sotto il grill del microonde che non avevo mai usato ed esce una puzza che mi fa prendere un colpo!! Preoccupata, apro subito lo sportello  per controllare, invece,  la mia tortina miracolosa era proprio una bella tatin caramellata al punto giusto e stamattina a colazione finalmente l'assaggiamo e con nostra grande sorpresa, scopriamo che è pure buona!!

PS: stamattina ho scoperto, con grande gioia, che in realtà il forno funziona, era solo abbassato l'interruttore di sicurezza!!


Mi sono chiesta se fosse il caso di postare la ricetta ma se qualcuno volesse sbagliare come me, eccola:

Ingredienti per una teglia da 18 cm

200 g di farina (tipo 2 e 0)
3 cucchiai colmi di zucchero di cocco (o zucchero di canna muscovado)
1 cucchiaino di lievito istantaneo
2 bustine di l'Ov  o  2 uova intere*
200 ml ca di latte parzialmente scremato
30 ml d'olio evo fruttato leggero

7-8 albicocche
2 cucchiai di zucchero di cocco o muscovado
una noce di burro
la scorza di un limone non trattato, tagliata a julienne con un rigalimoni.
2-3 rametti di timo limonato

* se si usano le uova intere, è necessario dimezzare la dose del latte


Denocciolate le albicocche, tagliatele in 4, fatele caramellare con lo zucchero, il burro, le scorze di limone e i rametti di timo limonato.
Imburrate una pirofila da microonde, versate sul fondo le albicocche.
Diluite con il latte le bustine di l'ov, unite lo zucchero, l'olio, sbattete bene, versate a pioggia la farina con il lievito,  mescolando vigorosamente. Dovete ottenere una pastella piuttosto densa da versare sopra le albicocche, coprendole completamente.
Cuocete in forno a microonde potenza massima per 20' in totale. Fate intiepidire, rovesciate la torta su un piatto di ceramica o porcellana e fate dorare sotto il grill per un paio di minuti.

IL PICCIONE, LE CILIEGIE E L' ORIZZONTE DI DONNA OLIMPIA 1898

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Non si può rimanere insensibili al fascino dell'orizzonte!
Chi non si è mai perso nei propri pensieri scrutando la linea che confina con l'infinito del cielo, dalla cima di una montagna, in mezzo ad un campo di grano o in riva al mare?
Di fronte all'orizzonte i pensieri si rincorrono a ruota libera, tra passato e futuro, come recita l'incipit scritto dal produttore vinicolo Guido Folonari per presentare ORIZZONTE, l'ultimo nato nella sua bella cantina bolgherese Donna Olimpia 1898 :

Così come senza terra non germoglia nuovo seme, senza passato non fiorisce il futuro. Guardarsi indietro, guardare avanti. Volgere lo sguardo alle spalle, scrutare l’orizzonte. Un doppio sguardo ancor più sentito da chi ha lasciato, per forza o per scelta, qualcosa di importante alle proprie spalle. Mettendosi in viaggio verso un nuovo orizzonte.

Orizzonteè un singolare e raro petit verdot in purezza,  prodotto a Bolgheri, dove il vitigno normalmente riveste il ruolo di comprimario nei blend dei rossi in stile bordolese, che hanno reso famosa nel mondo la piccola doc toscana. Un vino, quindi, che guarda oltre la denominazione, che incarna tutto ciò che la stessa terra toscana offre e si esprime in calore, potenza, forza e carattere insieme ad eleganza ed unicità.
Affinato 24 mesi in barriques di rovere francese, per metà nuove e per metà di secondo passaggio, e conservato altri 12 mesi in bottiglia prima di essere messo in commercio, questo vino è stato presentato quest'anno al Vinitaly, prima annata di produzione 2015.
Il colore è rosso granato intenso. Il naso è preciso e deciso, offre note di piccoli frutti rossi in cui spiccano ciliegie e ribes con sfumature erbacee aromatiche di alloro e speziate di pepe nero. In bocca è pieno, asciutto e fresco  con tannini setosi e un finale persistente dove ritornano i piccoli frutti rossi.

E' un vino che seduce per i suoi eleganti profumi e sorprende per lo straordinario equilibrio tra corpo, tenore alcolico e acidità, che rende la beva lieve e gradevole.
Il nome "Orizzonte" esprime perfettamente la natura del vino,  altamente evocativa e concettuale come un'opera d'arte contemporanea, "pensato per far pensare", per dirla con l'amico artista Elio Marchegiani.


E a che altro potevo pensare se non di accompagnare questo prezioso nettare con un piatto degno della sua caratura? Assaggiandolo mi ha subito evocato piatti sontuosi di nobili pennuti arrosto, accompagnati da salse ai frutti rossi o neri come la grande tradizione culinaria vuole.
Ho optato per il piccione e tra i frutti rossi hanno vinto le ciliegie, che riprendono i sentori del vino.
Il meteo prometteva una rinfrescatella, quale migliore occasione per infilarsi in cucina e ritrovare il piacere di cucinare che con il gran caldo si era assopito.
Detto, fatto, cotto e mangiato e l'Orizzonte non è mai stato così nitido!
Abbinamento perfetto, mi faccio i complimenti da sola.

IL PICCIONE E LE CILIEGIE



Ingredienti per 2 persone

per i piccioni
2 piccioni da 350-400 cad
1 bicchiere di vino Orizzonte
1-2 spicchi d'aglio rosa
1-2 scalogni o 1/2 cipolla dorata
2 foglie di alloro
scorza di limone non trattato
una cucchiaiata di pepe nero Campot
sale, olio evo qb

per il brodo
le carcasse dei due piccioni
1 piccola carota
1 scalogno
1 foglia di alloro
acqua

per la salsa alle ciliegie
300 g di ciliegie  tipo duroni o ferrovia
qualche cucchiaiata di brodo di piccione
un paio di cucchiai di zucchero di canna biondo
un cucchiaio di pepe rosa
1 fogliolina di alloro
scorza di limone non trattato

per le zucchine
un paio di zucchine chiare piccole
mix di parmigiano, cous cous, timo fresco
burro qb
sale qb


Disossate i piccioni, ricavatene i petti, separateli in due pezzi, staccate le cosce e le alucce.


Fate marinare per circa 4 h  i pezzi di piccione nel vino, con qualche fettina di aglio, 2-3 scorze di limone, il pepe nero un po' schiacciato, avendo cura di girare i pezzi di tanto in tanto.


Mettete le carcasse e i resti ben ripuliti dal grasso e dalla pelle, in una casseruola con la carota e la cipolla tagliate a pezzettini,  fate tostare a fuoco vivace, unite l'alloro, bagnate con acqua calda in quantità pari al doppio del volume delle carcasse. Fate andare a fuoco dolce fino a che si sarà ristretto della metà. Filtrate e tenete da parte.


Per la salsa di ciliegie: denocciolate tutte le ciliegie con l'apposito attrezzo. Fatele cuocere in un pentolino con lo zucchero, qualche scorza di limone, il pepe rosa chiuso in un sacchettino di garza, la fogliolina di alloro. Rimuovete l'alloro e il sacchettino con il pepe. Tenete da parte una manciata di ciliegie intere e infine frullate le restanti con qualche cucchiaiata di brodo di piccione in modo da ottenere una salsa cremosa. Mettete da parte.

Prelevate il piccione dalla marinata, mettete da parte in frigorifero, coperti da pellicola, i petti. Fate rosolare le cosce e le alucce in una casseruola con poco olio, alloro, aglio e cipolle a fettine, il limone e il pepe nero della marinata. Sfumate con un po' di vino della marinata, portate a cottura dolcemente (45 min ca), bagnando con un po' di brodo di tanto in tanto, regolate di sale.

Tagliate le zucchine a tronchetti, fatele cuocere al vapore o nel microonde, salate,  infine cospargete la superficie con un mix di cous cous, parmigiano grattugiato e timo fresco, aggiungete fiocchi di burro e mettetele sotto il grill a gratinare.

Nella stessa casseruola dove avrete cotto le cosce e le ali, rosolate a fiamma vivace i petti per un minuto e mezzo/un paio di minuti da ogni lato in modo che rimangano ben rosa all'interno (au bleu o al sangue a seconda dei gusti personali), salate. Fate riposare nella padella per qualche minuto ancora, poi prelevate tutti i pezzi di piccione e tenete da parte in caldo. Velocemente deglassate il fondo di cottura con un po' di brodo caldo, fate restringere la salsa, passatela allo chinois, versatela in una salsiera pre-riscaldata.

Componete il piatto disponendo a piacere i pezzi di piccione e i tronchetti di zucchine, guarnite con  con cucchiaiate di salsa di ciliegie tiepida o a temperatura ambiente, un filo di fondo ristretto e qualche ciliegia intera. Gustate scrutando l'orizzonte e accompagnate con Orizzonte naturalmente!


PEPEROSA RISTORANTE & WINE BISTRO A LUCCA

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Per chi non la conoscesse, piazza dell'anfiteatro a Lucca è una suggestiva piazza a forma ellittica dove le costruzioni sono state edificate sopra i resti di un anfiteatro romano del II sec. dopo Cristo.
Come tante piazze storiche italiane, pullula di locali con tavolini all'aperto che, nella bella stagione, permettono di godere della romantica atmosfera della singolare piazza che è una meta molto gettonata dai turisti provenienti da tutta Italia e da ogni parte del mondo. Purtroppo come spesso accade nei luoghi turistici, l'offerta non è sempre di buon livello, ma ci sono le eccezioni e una di queste è il Ristorante & Wine Bistrò Peperosa.
Il delizioso locale è  articolato su due livelli e offre un bel bancone bar alle cui spalle si apre la cucina a vista. Conta due salette  al piano terreno, oltre allo spazio esterno sulla piazza,  e  nel sotterraneo è stata ricavata un'ulteriore saletta raccolta e intima  i cui  soffitti a volta trasudano storia da ogni mattoncino.

La padrona di casa, Simona del Ry, lucchese docg, dopo una lunga permanenza bolognese dovuta ad affetti e lavoro, si dedica alla ristorazione inaugurando il Peperosa nel 2015 a seguito di un lungo e sapiente restauro.

Simona accoglie gli ospiti e si aggira fra i tavoli con garbo e discrezione, affiancata dal competente maître e sommelier Gianni Pera, amico e compagno di lavoro dello chef Luca Pantani a cui è stata affidata la cucina e che avevo avuto modo di conoscere ed apprezzare alla gara per giovani chef del Desco di Lucca nel dicembre 2016.  da cui uscì vincitore. Entrambi lucchesi, Gianni e Luca si conoscono sin dagli esordi del loro percorso professionale e creano un binomio  affiatato e solido.

lo chef Luca Pantani all'opera

L'atmosfera del ristorante è elegante e sobria, il servizio celere e molto curato. Ci si sente subito coccolati e in buone mani.
Le proposte del menu rivelano un gusto che spazia tra rielaborazioni di classici toscani sia di carne che di pesce ma con un occhio rivolto anche alle intolleranze e al vegetariano, con  incursioni nelle cucine asiatiche da cui si attinge per spezie ed ingredienti esotici per integrare proposte singolari come il calamaro mediterraneo con curry e cocco.
La cantina, grazie alla selezione di Gianni, offre circa 130 etichette nazionali e internazionali, che si snodano fra  proposte mai scontate.
I prezzi sono estremamente ragionevoli per il livello offerto, cosa che rende interessante l'offerta di Peperosa, aperto anche d'inverno, per il piacere dei gourmet!

Ho diviso il convivio con mio marito e abbiamo così assaggiato vari piatti, alcuni molto  interessanti e divertenti come gli agnolotti di zucca, liquirizia e parmigiano 30 mesi, un ardito gioco da equilibrista in cui il Pantani si è retto egregiamente!!

Ma partiamo dall'inizio, dal simpatico e gustoso benvenuto, le polpettine di verze e curry accompagnate da un cocktail delicatamente alcolico a base di selz, succo di pesca e vodka

Scegliamo le portate e ci affidiamo al sommelier per i vini dando solo indicazioni sulle nostre preferenze.
Non ci delude e si parte subito con un' ottima scelta:  Roero Arneis, bianco piemontese poco noto e decisamente sottovalutato ma che sa offrire ottimi esempi come quello proposto da Gianni, leggero, fresco e fragrante, perfetto per iniziare.

Roero Arneis 2018 Matteo Correggia 

Succulenta e goduriosa la patata toscana con uovo fondente, stracciatella e generosa grattugiata di tartufo nero per il consorte

Intriganti le mie capesante perfettamente tostate con la loro voluttuosa salsa alla carbonara, chips di parmigiano, guanciale croccante e prugne, solo da riequilibrare leggermente nelle componenti dolci/sapide

Per il pane, che viene sfornato dalla cucina del Peperosa, si utilizzano grani biologici toscani e lievito madre. Il vassoietto nella foto offre  pane ai semi misti, pane mediterraneo con pomodoro, olive e capperi, focaccia di patate e  sfogliette alla curcuma (due ce l'eravamo già sgranocchiate prima della foto!!) Minimal la presentazione, profumato e intenso il contenuto.



Per i primi piatti si passa ad uno dei miei bianchi italiani preferiti, il Timorasso. Gianni non poteva farmi un regalo migliore!  Il vino proposto, Colli Tortonesi - Timorasso Derthona 2017 prodotto dall'azenda Oltretorrente,  incanta col suo bel  naso minerale ed elegantissimo. Strutturato, pieno ed avvolgente in bocca ma con un finale asciutto e molto persistente, accompagna brillantemente il mio primo piatto, non facile da abbinare: gli agnolotti di zucca, liquirizia e parmigiano reggiano 30 mesi, un felice gioco tra dolcezza, aromaticità e sapidità, che si rincorrono in perfetto equilibrio per il piacere del palato!




Il Timorasso è ottimo anche sui saporiti e avvolgenti spaghettoni monograno Felicetti cotti al dente e mantecati a dovere con crema di broccoli, acciughe del Cantabrico, burrata e perle d' arancia che, a detta dello stesso chef devono essere perfezionati nella gestione dell'acciuga e concordo con la sua idea..si sa, sull'acciuga sono molto sensibile!!  Il menu, del resto, è appena stato cambiato ed è fisiologico che qualche piatto debba ancora trovare la sua ottimizzazione.

A  questo punto, dal momento che le porzioni non erano da degustazione ma piatti interi e sostanziosi, decidiamo di dividerci un solo secondo di carne per il quale il sommelier sfodera un altro asso vincente, un rosso decisamente insolito che per me era quasi caduto nell'oblio dai tempi del corso di sommelier: il gaglioppo calabrese. Nello specifico assaggiamo Nanà,  Val di Neto rosso Igt 2017 bio, di Roberto Cerauto, 80% gaglioppo  e 20% magliocco, entrambi autoctoni calabresi. Profumato, asciutto e snello nonostante i suoi  14 gradi alcolici, morbido e fresco insieme, con  note di frutta rossa matura e sfumature vegetali e con leggeri cenni speziati nel finale. Una piacevolissima beva e una gradita sorpresa!!

Vino perfetto inoltre sull'impeccabile tagliata d'angus ben al sangue,  accompagnata da un giardinetto  di verdure - patata, carota e cavoletto di Bruxelles - adagiate su una sorta di cenere, ricreata con farina di tapioca tostata e carbone vegetale. E sotto la cenere una crema di senape e maionese che crea un delicato contrasto acido piccantino. Decisamente un signor piatto!


Anche per il dessert, avremmo voluto dividerne uno in due perchè eravamo decisamente sazi ma si sa la gola è gola e le proposte sono irresistibili, difficile scegliere. Allora Tatin con gelato allo zafferano e cialda ai pinoli per il marito che è un grande amante delle torte di mele in tutte le loro forme, in particolare la Tatin; per me invece una bavarese al cioccolato bianco con biscotto alle nocciole e le ultimissime pesche di stagione. 



Golosissimi e ben eseguiti entrambi, non smentiscono la bella mano del giovane chef lucchese.  Mi incuriosiva anche il Tiramisù-Mont Blanc che mi riservo per la prossima volta, così come il Briacacio, un pecorino erborinato affinato in bagna alcolica e uva passa...e niente...ghiotti si nasce!!

Chiude la cena un ottimo caffè, servito con della piccola pasticceria che mi dimentico di immortalare, a cui seguono ancora piacevoli chiacchiere con Simona e i suoi ragazzi e infine si fa l'ora di rientrare e  si abbandona il dolce abbraccio dell'anfiteatro e del Peperosa che ci ha cullati per l'ultima, forse, tiepida serata di questo tiepido autunno ma ci ripromettiamo di tornarci presto perchè abbiamo ancora tanti piatti da assaggiare e vini da scoprire!


Peperosa Ristorante & Wine Bistrò, piazza dell'Anfiteatro, Lucca


PAGNOTTA RUSTICA CON CASTAGNE, FRUTTA SECCA E MIELE

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Se non è zucca, son castagne o mele! Siamo d'autunno e questi sono gli ingredienti del mondo vegetale che stimolano maggiormente la creatività in cucina, protagonisti delle copertine di molti food magazine di questi mesi ma anche di molte pagine web.
Proprio qualche giorno fa, a proposito di zucca,  ho pubblicato su Poverimabelliebuoni un risotto alla zucca con baccalà affumicato e peperoni cruschi. Ma entrambi i miei blog elencano varie idee per zucca (Poverimabelliebuoni Insalata Mista  )  castagne (Poverimabelliebuoni Insalata Mista , forse meno con le mele, devo porvi rimedio!!
Mi diverte molto trovare combinazioni non scontate, giocando con i protagonisti stagionali.
Se per il risotto mi ero impegnata per arrivare al risultato che volevo, per questa pagnotta, devo ammettere che ho seguito la logica del riciclo, del vuota dispensa.
Avevo un mucchietto avanzato di squisite castagne dell'Amiata, cotte, avrei potuto congelarle in attesa di un'ispirazione, invece le ho volute utilizzare subito, pensando ad un dolce ma non un dolce troppo dolce, di quelli che troneggiano di questi tempi, appunto, sulle copertine di riviste e libri o sui blog di cucina, dolci pannosi, burrosi o cioccolatosi. Troppo lavoro e troppe calorie e grassi...vado di riciclo anche per la ricetta e penso ad una pagnotta che ho fatto diverse volte, ogni volta variando qualcosa o aromatizzando con spezie.
La ricetta originale è contenuta in un bellissimo libro sul miele a cui attingo spesso: Un cucchiaio di miele di Hattie Ellis, una guida interessante e completa sulle varie tipologie e sugli usi culinari di un prodotto straordinario come il miele, con ricette e foto stupende!!


E' un soda bread preparato con frutta secca,  miele e olio extravergine d'oliva. Io a questo giro ho aggiunto anche le castagne ma col senno di poi, sarebbe stato meglio riservarle ad altro perchè spariscono un po' nell'insieme e lo rendono un po' zeppo. Comunque, può accompagnare una degustazione di formaggi soprattutto morbidi, con miele o confetture oppure è perfetto a colazione, meglio se tostato. Nella mia versione, ho fatto un mix di farine e inoltre non c'è il latticello previsto dalla ricetta originaria.



Ingredienti

150 g di farina 0
100 g di farina tipo 2
100 g di castagne bollite (peso al netto della buccia)
80 g di frutta secca mista sgusciata (io avevo noci, mandorle, pinoli e anacardi)
80 g di uvetta sultanina
40 g di miele di castagno
1 tazza d'acqua tiepida
8 g di lievito istantaneo per dolci
2 cucchiai di olio extravergine d'oliva igp toscano
un pizzicotto di sale fino

Mettere a mollo l''uvetta in acqua tiepida. Scolarla e strizzarla bene. Usare una cucchiaiata dell'acqua delle uvette per diluire il miele.
Setacciare le farine col lievito, unire le castagne sbriciolate grossolanamente, la frutta secca e le uvette, fare una fontana su una spianatoia, creare una fossetta nel centro, mettere il miele diluito nell'acqua, l'olio e un pizzico di sale. Iniziare ad impastare, diluendo con altra acqua tiepida se necessario in modo da ottenere un impasto omogeneo, morbido ma consistente.
Formare un disco di ca 15-18 cm, posizionarlo su una teglia rivestita da carta da forno, incidere una croce sulla superficie, cuocere in forno pre-riscaldato 1 180-200° C per 25-30'




VELLUTATA DI ZUCCA HOKKAIDO ALLA BIRRA CON NOCCIOLE

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Ancora zucca..oh yeah...e mi sa che non è finita qui!!! Come ho scritto a proposito del risotto alla zucca e baccalà affumicato con peperoni cruschi, mi piace giocare con  la dolcezza della zucca e sperimentare divertenti ed insoliti contrasti. 
Non contenta, ho voluto assaggiare altre tipologie di zucca perchè praticamente conoscevo solo la mantovana e quella napoletana. Dal momento che sono abbastanza ingombranti e non potevo riempire la casa di zucche, mi sono accontentata di assaggiare, per ora,  la Hokkaido e la Butternut.
La butternut è dolcissima, ci farò un dolce. La Hokkaido ha un gusto che richiama la castagna e la frutta secca, mi è sembrata perfetta per una ricetta trovata nello speciale sulla zucca di questo mese di Sale & Pepe, che non brilla per originalità ma offre qualche spunto valido. Pecca però nel non indicare per tutte le ricette la varietà di zucca più appropriata. L'ho deciso io! 

VELLUTATA DI ZUCCA HOKKAIDO ALLA BIRRA 
CON NOCCIOLE


L'idea della birra mi inquietava ma mi stimolava. Anche in questo caso non viene data indicazione sulla tipologia di birra da utilizzare. Non è un dettaglio da poco! A mio avviso, sarebbe meglio orientarsi su birre morbide e speziate o azzardare, come ho fatto io, anche una birra scura aromatizzata alla castagna, morbida, dal gusto pieno e per niente amara. 

Ingredienti per 4 persone

800 g di polpa di zucca hokkaido pulita
1/2 porro
1 costa di sedano
4-5 bacche di ginepro
250 ml di birra morbida/speziata o scura alla castagna
500 ml di brodo di carne
80 g di nocciole sgusciate
180 g di yogurt greco
50 ml di panna fresca
2 rametti di rosmarino
una noce di burro
olio extravergine d'oliva 
sale, mix di pepe bianco, nero e verde al mulinello qb

Tagliate la zucca a tocchetti, affettate il porro e la costa di sedano.
Rosolate porro e sedano con due cucchiaiate d'olio, un rametto di rosmarino e le bacche di ginepro schiacciate. Aggiungete la zucca, sfumate con la birra, fate evaporare, aggiungete il brodo poco alla volta e portate a cottura. Regolate di sale, togliete rosmarino e ginepro, frullate.

Fate sciogliere il burro con un rametto di rosmarino, tostatevi le nocciole.
Mescolate lo yogurt con la panna. 
Servite la vellutata in capienti ciotole, completate con una generosa cucchiaiata di yogurt, una manciata di nocciole e una macinata di mix di pepe bianco, nero e verde



ZUPPA DI LENTICCHIE ROSSE D'ISPIRAZIONE THAI

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Purtroppo la pioggia è la  noiosa costante di questo mese di novembre che sembra non finire mai!! Le giornate  fredde, cupe e tristi  invitano a stare nel conforto domestico;  si cucina, ci si coccola con cibi caldi, saporiti e colorati che rallegrano anche la vista come questa semplicissima zuppa di lenticchie rosse, che a dire il vero in cottura diventano arancio, ispirata ad una zuppa thai ma con qualche infiltrato speciale.  Anche le foto sono un po'  buie ma mi sono piaciute così perchè sono fatte alla luce naturale e il colore caldo della zuppa risalta bene nello sfondo quasi tenebroso!

In molte ricette che troverete in rete a proposito della zuppa di lenticchie rosse thai, compare la pasta di curry. Io invece l'ho omessa, ispirandomi  ad una preparazione che avevo trovato su una rivista tempo fa che mi piace molto e ho fatto più volte con latte di cocco lime e zenzero ma mai immortalata sul blog. Era tempo di inserirla in archivio!
Inoltre la ricetta originaria prevede  il lemon grass ma non avendolo a disposizione, ho optato per l'erba cedrina che ha in giardino la mia vicina (le rime mi divertono, non è una novità). E' lei l'infiltrata speciale, non è proprio la stessa cosa ma si avvicina abbastanza.



Ricetta per direttissima della ZUPPA DI LENTICCHIE ROSSE D'ISPIRAZIONE THAI

Ingredienti per 4 persone

240 g di lenticchie rosse decorticate
100 ml di latte di cocco
1-2 scalogni
1 spicchietto d'aglio rosa
1 carota media
1 foglia di alloro
radice di zenzero qb
1 lime bio
1 peperoncino rosso lungo bio (media piccantezza)
Foglie di erba cedrina o 1/2 gambo  di lemon grass
olio evo
sale marino integrale, pepe di mulinello

Tritate lo scalogno, tagliate a tocchettini le carote, spremete l'aglio nello spremiaglio. Fate rosolare tutto con una foglia di alloro spezzata (così sprigionerà meglio l'aroma) in poco olio evo e un cucchiaio d'acqua. Unite le lenticchie, fate insaporire, allungate poi con un po' d'acqua calda e il latte di cocco. Unite il gambo di  lemon grass se lo avete e ricordate di toglierlo alla fine. Fate cuocere per circa 15-20' allungando con acqua calda man mano in modo da arrivare a fine cottura con  una consistenza leggermente fluida. A metà cottura grattugiate nella zuppa un bel pezzo di zenzero, assaggiando e regolando a piacere. Infine, spremete nella zuppa il lime, condite con il sale e servite con rondelle di peperoncino rosso, foglioline di erba cedrina e una grattugiata di scorza di lime.


SAVARIN AL SEDANO RAPA, NOCCIOLE TARTUFATE E CREMA D'AGLIO NERO

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Forse un po' lezioso per i miei standard, sicuramente vintage sia nella forma che nella mise en place con il piattino rétro di mamma, il cucchiaio fine '800 di nonna e il tovagliolo della mia bellissima tovaglia di dote, tutta ricamata ad intarsio, sfoggiata in pochissime occasioni perché ogni volta mi costa un occhio nella testa di lavanderia!!! Scherzi a parte, è una tovaglia impegnativa, per le grandi occasioni ma quando ci vuole...ci vuole..

Questi piattini me li sono accaparrati durante l'ultima visita a casa dei miei, sempre alla ricerca di apparecchiature nuove  per le foto delle mie preparazioni. E pensare che da ragazzina li disprezzavo pensando che fosse roba da "antichità e belle arti", sinonimo di vecchiume insomma per i giovinastri.
A dire il vero, non rappresentano neanche ora  il mio gusto, che tende più al minimal e al contemporaneo ma non sono così rigida, un tocco di romanticismo ogni tanto nei piatti non guasta, soprattutto se è coerente con il contenuto.

Ma il bello è proprio quello, il contenuto, che non è quello che sembra. Di primo acchito si penserebbe ad un dolce e invece no! E' un budino salato che mi ha divertito molto perché l'ho costruito mentalmente cercando di figurarmi il gusto finale e all'assaggio, oltre ad avermi soddisfatta,  mi ha anche sorpresa, è risultato meglio delle aspettative!  
Avevo anche due opzioni per le nocciole caramellate: burro al tartufo o sale affumicato...ha vinto il tartufo. Ed eccovi la ricetta. 

E' un budino che potete presentare nelle forme che volete, io ho scelto quella da  savarin quindi un po' vintage e la presentazione è venuta da sè.  Ma se il budino è vintage nella forma non lo è nel contenuto, che sfodera  ingredienti  decisamente contemporanei come l'aglio nero. Il  gusto è intenso ed elegante, mi sentirei di consigliarlo come antipastino in un menu delle prossime feste! 

SAVARIN  AL SEDANO RAPA, NOCCIOLE TARTUFATE E CREMA D'AGLIO NERO



Ingredienti per 2 savarin stampi da ml 220  o 6 piccoli tipo crème caramel da 70 ml

Per il budino:
300 g di polpa di sedano (peso a crudo al netto della buccia)
40 g di porro
1/2 foglia di alloro
1 albume
100 ml di panna vegetale
1 cucchiaio scarso di fecola di patate
olio evo o burro qb
acqua
sale

Per la crema di aglio nero
4-5 spicchi d'aglio nero
100 ml di panna liquida
acqua 
sale

Per le nocciole caramellate tartufate
Una manciata di nocciole
una generosa noce di burro al tartufo
zucchero di canna finissimo
sale fino

Tagliate la parte bianca del porro a rondelle fini, fatele stufare con un po' d'olio e acqua e la foglia d'alloro spezzata. Aggiungete la polpa di sedano tagliata a fettine, fate insaporire, portate a cottura allungando man mano con acqua calda. Fate asciugare bene a fiamma vivace. 
Lasciate intiepidire, togliete l'alloro,  e infine frullate con la panna, la fecola, l'albume e regolate di sale.
Mettete il composto nelle formine e cuocete a bagno maria in forno a 180° C per circa 30'
(se si usano gli stampi di silicone si può anche optare per la cottura a microonde, potenza massima 10' circa)
Fate raffreddare e passate in freezer per un paio d'ore circa prima di sformare, dopo di che lasciate che tornino a temperatura ambiente e prima di servire scaldateli brevemente nel microonde. Sono buoni tiepidi, non caldissimi ma funzionano bene anche a temperatura ambiente.

Per la crema all'aglio nero: sbucciate l'aglio, scioglietelo in un pentolino con un po' d'acqua, sfaldandolo con i rebbi di una forchetta, aggiungete la panna, portate a leggero bollore, insaporite con un pizzico di sale. Passate infine al colino la crema, mettetela in una sacca da pasticceria con bocchetta grande

Sgusciate le nocciole, passatele qualche minuto sotto il grill per far seccare la pellicina che le ricopre, una volta secca, rimuovetela. Sminuzzatene una parte, lasciatene intere una manciata. 
Sciogliete in un padellino il burro al tartufo, un po' di zucchero e di sale, fatevi dorare prima le nocciole intere e, da ultimo, anche la granella. 

Servite il savarin tiepido cosparso di nocciole e guarnite con ciuffi di crema all'aglio nero.
E buon divertimento!

LA MIA TERRINA DI TACCHINO, FEGATO E CASTAGNE PER MTC STORY

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Nostalgia da Mtchallenge... Il nostro bellissimo gioco on line che ha entusiasmato per anni una comunità costituita da centinaia di foodblogger, di cui faccio parte, è da un po' di tempo in stand by, e manca a tutti. Manca l'eccitazione della sfida che si ripete a ritmo cadenzato ogni mese, gli stimoli creativi che tutto ciò comporta, il cazzeggio sui social, la sfida nella sfida, ovvero indovinare gli indizi, l'attesa del vincitore..
In attesa e nella speranza che si rianimi, qualcuno ha lanciato l'idea di un flash mob con una ricetta a scelta fra le 73 ricette delle sfide che  si sono succedute dal 2010 ad oggi, ben 10 anni!!
Celebriamo quindi l'anniversario con una movimentazione in stile Mtc, alla grande, in massa, con fragore, colore e sapore per il piacere di cucinare e condividere!!

Io non ho avuto dubbi sulla scelta del da farsi, quando lo abbiamo deciso si avvicinava il Natale, quindi  ho optato per una preparazione sontuosa da esibire nel menu della festa più amata dell'anno: la terrina, sfida n. 64 lanciata dalla Gallina Vintage, Giuliana, rinominata Madame Terrine per la sua maestria in cucina.
Tema della sfida in realtà erano "le terrine", come riporta il banner, in tutte le loro varianti: carni, pesci, verdure, nude, in crosta, in gelatina.
A suo tempo ne realizzai una di pesce, LA TERRINA POVERA, POCO BELLA MA BUONA ma feci un errore nell'ultimo passaggio, a causa di un'imperdonabile svista, sono caduta sul rivestimento di gelatina!! Il risultato non fu proprio impeccabile anche se, una volta tagliata a fette e limato un po' la gelatina in eccesso, tutto sommato non era male a vedersi, era molto scenografica e anche buona, però l'errore tecnico c'era e non avevo tempo di rifarla..amen. 


Allora, volevo rifarmi e mi sono buttata su un mostro sacro dell'alta gastronomia: la terrina in crosta. La più difficile, a mio avviso, pertanto molto stimolante, altrimenti che sfida sarebbe?
E' ispirata ad un grande classico delle tavole natalizie: il tacchino farcito con le castagne.
E' stata una grande soddisfazione riuscire a realizzarla. L'ho studiata e programmata per giorni, tampinando soprattutto la vincitrice della sfida: Mademoiselle Marina perché mi sono ispirata alla sua meravigliosa terrina di maiale e coniglio in crosta. Marina è stata come sempre deliziosa nel dispensare consigli e nel supportarmi. Ho chiesto un aiutino anche a Giuliana, naturalmente,  ma avevo bisogno di essere rincuorata proprio sull'ultimo passaggio. E Ho scomodato pure un amico chef, mago delle terrine, Angelo Torcigliani de Il Merlo di Lido di Camaiore. Nel marasma dei preparativi natalizi, degli ultimi acquisti, di messaggi e telefonate di auguri, pur avendo stampato passo dopo passo il procedimento, da ultimo sono andata un po' in confusione e un piccolo errore l'ho  commesso ancora ma il risultato è stato più che soddisfacente soprattutto per il  palato!! Una vera goduria che ha trovato ottima compagnia con un vino importante come il Tignanello 2009, una pietra miliare dell'enologia italiana,  che custodivo in cantina per l'occasione giusta!  

TERRINA DI TACCHINO, FEGATO E CASTAGNE IN CROSTA DI FARINA DI CASTAGNE


Ingredienti per una terrina  cm 11 x 20 ( h 7)

400 g di sovraccoscia di tacchino (peso al netto degli scarti)
150 g di fegato bovino
200 g di salsiccia
60 g di lardo
100 g di castagne lessate
1 uovo intero
1 cucchiaio colmo di panna liquida vegetale
1 cucchiaio di semi di finocchio pestati
1 cucchiaiata di timo sfogliato
Un mazzetto di erba salvia
Noce moscata, pepe vanigliato del Borneo, sale fino
Scorza di limone grattugiata
Latte parzialmente scremato qb
Moscato passito qb

+ eventuale gelatina di brodo leggero di pollo o di verdure

Per la  pâte  a foncer
250 g di farina 0 + 100 g farina di castagne
180 g di burro
50 g di acqua ghiacciata
1 cucchiaino colmo di sale
1  uovo grande

Pulire la carne del tacchino, rimuovendo pelle, tendini e grasso. Tagliarla a pezzi e farla marinare per mezza giornata con del latte, una manciata di pepe vanigliato e delle foglie di salvia spezzettate.
Mettere a marinare anche il fegato con il vino passito e una manciata di semi di finocchio.
Nel frattempo preparare la pate à foncer facendo una fontana su un piano di lavoro con le farine mescolate e setacciate. Unire  il sale, l'uovo, il burro e un po' d'acqua ghiacciata, iniziare a impastare senza lavorare troppo e unendo altra acqua se la pasta la richiede. Formare una palla, avvolgere nella pellicolare e far riposare in frigorifero per almeno un'ora. Toglierla mezz'ora prima dell'utilizzo.
Aprire la salsiccia, ricavarne la polpa, spezzettarla.
Scolare la carne di tacchino dalla marinata, passarla al tritacarne. Mescolarla con la salsiccia, le castagne spezzettate grossolanamente,  un uovo intero, una cucchiaiata di panna vegetale, un po' di timo, della noce moscata grattugiata, i semi di finocchio, la scorza grattugiata di mezzo limone e infine  regolare di sale.
Stendere la pasta nello spessore di 0,5 cm circa, ritagliare dei pezzi di pasta della misura del fondo e dei lati della teglia, considerando un margine per poi far aderire i pezzi fra loro. Imburrare e spolverare di farina la teglia, rivestirla con i pezzi di pasta, farli aderire bene fra loro nei bordi interni, ritagliare quelli superiori. Infine ricavare anche un rettangolo per chiudere la terrina.
Versare nella terrina un po' di impasto di carne e salsiccia, premendolo bene, stendere delle strisce di fegato, coprire con fettine di lardo, fare un altro strato di carne e salsiccia, fegato e lardo fino ad esaurimento, avendo cura di terminare lasciando un bordo di pasta di 1-1,5 cm. Premere bene il composto, coprire la superfice della terrina con il rettangolo di pasta preparato, ripiegare i bordi laterali, sigillare imprimendo dei motivi con i rebbi di una forchetta o altro. Praticare un foro al centro o più fori per far uscire l'aria in cottura, posizionare nei fori dei piccoli coppapasta o dei coni di carta da forno. Con i ritagli di pasta decorare la superficie con motivi a piacere. Creare anche una decorazione che farà da tappo al buco della superficie, una volta sfornata e raffreddata la terrina.
Spennellare la superficie della terrina con un tuorlo diluito con un po' di latte.
Cuocere in forno preriscaldato a 180° C per 15-20' poi abbassare a 160° C per 45-50'. Cuocere la decorazione "tappo" negli ultimi 15-20'
Togliere dal forno, reclinare un poco la terrina con molta cura, eliminare l'eventuale liquido prodotto, attraverso un imbutino o un cono di carta forno. Sformarla, versare della gelatina liquida quando la terrina è ancora calda in modo che possa inglobare eventuale liquido rimasto e una volta solidificata sigillare bene la carne alle pareti di pasta.
Io qui ho sbagliato perché ho eliminato un po' di liquido  ma ho fatto raffreddare la terrina nella teglia. La pasta in superficie si era gonfiata ma poi si è seduta raffreddandosi e si è sigillata da sola con la carne, in superficie, senza bisogno quindi di gelatina; nei bordi laterali un po' di spazio è rimasta ma insomma...non tutto il male vien per nuocere!!
Togliere il coppapasta, chiudere il buco con la decorazione, far raffreddare e porre in frigorifero a riposare, meglio se un giorno intero, così da compattarsi bene. Servire a temperatura ambiente o appena intiepidita.

Salsa di porri all'arancia per accompagnare  : porri tagliati a rondelle, cotti con burro e alloro, brodo di verdura qb, spruzzati con poco succo  d'arancia e aromatizzati con scorze d'arancia tagliate a julienne e infine frullati (senza l'alloro)



CUORE ALLA PIASTRA, PUREA DI SEDANO RAPA E RADICCHIO TARDIVO

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Da poco più di un mese mi si è risvegliato l'interesse verso il quinto quarto sia di animali terrestri che acquatici. Galeotto fu il libro Finché c'è trippa di Diego Rossi, come ho già scritto nel post dedicato alla mia riproduzione di una ricetta contenuta nel libro : fegato di pescatrice, porri e fichi. Piatto succulento e voluttuoso quanto un foie gras ma assolutamente etico!! 

Questo libro  mi accende tante lampadine, è una continua fonte di ispirazione e nella dedica che mi ha fatto lo chef quando a metà dicembre, sono stata a cena nella sua ormai leggendaria trattoria milanese dal nome fortemente evocativo, cioè Trippa, ha centrato in pieno la mia sete di conoscenza e ricerca di ispirazione continua!

La ricetta del cuore di bue che ho fatto non è tratta dal libro ma ho fatto comunque tesoro delle raccomandazioni dello chef circa il modo di pulire il cuore, come sceglierlo e come cucinarlo. E' un muscolo ricco di tessuto connettivo quindi va cotto o pochissimo come un filetto o stufato per ore fino a che non si sfibra e diventa tenero. 

Ho optato per il primo metodo di cottura e non mi sono pentita, ha una struttura comunque piuttosto elastica ma è molto gustoso e saporito. L'ho acquistato già pulito e affettato dello spessore di poco meno di un centimetro, piastrato 30-40 sec per parte  su piastra calda ma non rovente, poi servito subito su  piatto riscaldato e nappato con una sorta di salmoriglio (erbe aromatiche essiccate da me e triturate, olio evo, aglio, sale, pepe e una spruzzatina di limone), accompagnato da una purea di sedano rapa che adoro per il suo gusto fresco e nocciolato insieme (sedano cotto al vapore e poi frullato con della panna vegetale che trovo molto indicata perché ha una sfumatura di frutta secca che si sposa bene col sedano rapa ma si può tranquillamente fare come un classico puré di patate con latte e burro a piacere). Non poteva mancare una verdura, il frigo offriva molta scelta perché avevo appena fatto la spesa, ho trovato adatto il radicchio tardivo grigliato, immaginando un bel contrasto fra la sua nota amarognola col dolce del cuore. L'ho sfogliato e ho fatto una composizione minimal ma col senno di poi ci metterei proprio la classica sezione del mazzo di radicchio per un effetto più ruspante. 


Bene, abbiamo provato anche il cuore e ora ho in incubazione una cosa col lampredotto con cui ho già giocato in passato e poi devo provare il diaframma, provato solo all'Aia della Vecchia dall'amica chef Gabriella Pizzi .....il trip per trippa&c continua....

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